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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2012 alle ore 07:53.
L'ultima modifica è del 06 aprile 2012 alle ore 09:07.

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Ha scelto uno dei momenti più solenni dell'anno liturgico, la messa crismale del giovedì santo, per dare al mondo un messaggio chiaro: la Chiesa vive sempre più spesso in una situazione «drammatica», e quindi si deve marciare tutti nella stessa direzione. C'è spazio per il rinnovamento, ma non per la disobbedienza.

Benedetto XVI, a quasi sette anni dalla sua elezione, impone una sterzata nella sua azione di governo verso le chiese che si stanno allontanando da Roma. Ieri l'attenzione si è posata sull'appello firmato da 329 parroci austriaci, la "Pfarrer-Initiative", in cui si chiedono riforme radicali, tra cui il sacerdozio alle donne, l'abolizione del celibato e la comunione ai divorzati. «Vogliamo credere agli autori di tale appello quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove per riportare la Chiesa all'altezza dell'oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via?», si è chiesto il Papa. «Non semplifichiamo troppo il problema, Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l'obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida».

Il dibattito attorno a questa iniziativa sta andando avanti da anni: per il Papa era arrivato il momento di intervenire (ieri a parole, è probabile a questo punto che possa passare ai fatti in assenza di segnali). «Una riflessione lucida e mite che una volta cancella lo stereotipo di un papa debole che non governerebbe la Chiesa», scrive in prima pagina sull'Osservatore Romano il direttore Gian Maria Vian.

E nel caso dell'Austria le azioni pastorali e di governo da parte di Roma erano attese. Il fronte di una ribellione strisciante del clero sta andando avanti in Europa: Germania, Irlanda, Belgio, Svizzera, Slovacchia e Austria, appunto. Un'ondata che Roma deve e vuole gestire senza eccessivi irrigidimenti, anche perchè i presuli da quelle parti hanno idee che non esitano a manifestare. In particolare dal 2009, anno della crisi dei lefebvriani, quando dall'episcopato arrivarono dissensi sulla remissione della scomunica ai quattro vescovi.

Vicenda andata in parallelo con la nomina – poi revocata dopo le proteste da parte dei vescovi austriaci – di monsignor Wagner ad ausiliare di Linz, che era salito alla ribalta per aver affermato che l'urgano Katrina era una punizione divina per l'immoralità di New Orleans. La personalità di maggior spicco della Chiesa austriaca è il cardinale Cristoph Schoenborn, allievo di Ratzinger all'università, anche se d'impostazione considerata più progressista. Un esempio: pochi giorni fa davanti alla tv ha difeso la decisione di una parrocchia di nominare a capo del consiglio pastorale una persona dichiaratamente omosessuale che convive con il proprio compagno.

Quello dell'unità della Chiesa è il dossier più complesso che ogni papa ha sul tavolo, ogni momento di ogni giorno. Ratzinger ha dichiarato guerra alla «sporcizia» proprio il venerdì santo del 2005, pochi giorni prima di diventare papa, e non ha esitato a denunciare che dentro le gerarchie «ci si morde e ci si divora» quando si consumano spaccature profonde. Ora che taglia il traguardo del settimo anno di pontificato e degli 85 di età l'obiettivo è dare unitarietà ad un'azione che privilegi la riforma e non la rottura, come disse nel primo discorso annuale alla Curia, che è considerato un po' il suo manifesto di governo. Ma questa dichiarazione di intenti non è sempre condivisa dalla base, e talvolta anche da pezzi non secondari dell'episcopato, che, dalla "messa in latino" in poi – correva l'anno 2007 – hanno riacceso il dibattito su un vero o presunto abbandono della via conciliare.

Un fatto è certo: parlare della Chiesa in una «situazione drammatica» il giorno in cui si ricorda l'Ultima Cena è un atto tra i più forti del pontificato di Jospeh Ratzinger. Ma in definitiva "gestito" anche in forma di dialogo e di domande, e non a colpi di dottrina. Tanto che il capo dei ribelli, il parroco Schuller, ha salutato con favore le parole del pontefice.

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