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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2012 alle ore 11:35.

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Lo sanno tutti, nella Lega e nel Pdl: Roberto Maroni e Angelino Alfano hanno un ottimo rapporto che, nonostante le alterne vicessitudini dell'uno e dell'altro, regge e in questi mesi si è perfino consolidato. Sarebbe però sbagliato immaginare a un ritorno del binomio Lega-Pdl che ha caratterizzato l'ultimo decennio. E il motivo è banale per quanto è vero: non ci sono più i protagonisti, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, il cui rapporto prima che politico è stato personale. Nel giorno in cui il Cavaliere, in un'intervista a un giornale israeliano, torna a raccontare di volersi dedicare alla filantropia negando di essere interessato al Quirinale («voglio costruire ospedali per i bambini») e il Senatur incontra Bobo per tentare di trovare un'onorevole via d'uscita, risulta difficile immaginare Maroni e Alfano riuniti tutti i lunedì a casa dell'uno o dell'altro, a parlare di quel che s'ha da fare raccontandosi nel frattempo qualche barzelletta. E poi non è detto che gli interessi collimino né che entrambi siedano sulla poltrona che conta nello stesso momento.

Nel Pdl, soprattutto chi lavora contro l'abbraccio con Casini, il terremoto nella Lega viene vissuto con sentimenti altalenanti. L'idea di poter riacchiappare un po' di voti solletica più di qualcuno, come confermano le dichiarazioni ieri del candidato pidiellino a sindaco di Verona, Luigi Castelletti, che lascia aperta la possibilità di tentare l'impresa perché «ogni voto dato a Tosi è un voto dato a Bossi e alla Lega». Ma soprattutto l'analisi che fanno in casa Pdl è che l'uscita di scena di Bossi mette anche a nudo la fine di quel progetto politico su cui la Lega campa da un ventennio. «Se è vero che Berlusconi e Bossi sono stati certamente i due leader che hanno caratterizzato gli ultimi due decenni, è altrettanto evidente – sottolinea Massimo Corsaro vicepresidente vicario dei deputati e soprattutto tra i principali esponenti lombardi del Pdl – che mentre il Carroccio trova la sua stessa ragione di esistenza nel pensiero di Bossi, il Pdl poggia su valori, obiettivi che fanno parte del patrimonio di tutti i partiti di centrodestra occidentali e nei quali si riconoscono da sempre una parte rilevante degli italiani». Se la Lega, magari per serrare le fila, dovesse ripararsi dietro i vecchi slogan e le certezze del passato le possibilità di un risvvicinamento diminuirebbero. Maroni lo sa. Il neo triunviro della Lega al momento non da nulla per scontato. Conquistare la guida del Carroccio non sarà facile. L'ex ministro dell'Interno resta molto popolare nella base ma un conto è essere vittima del tentato ostracismo perpetrato dal cerchio magico nei suoi confronti, altro è avere le spalle e le idee per sostituire il padre storico del partito. «Maroni è un uomo dalle mille facce, certamente capace, ma molto tattico e non mi stupirei se il suo obiettivo fosse di ripetere la strada già tentata da Casini, ovvero rendere autonoma e determinante la Lega», spiega Osvaldo Napoli, che nel Pdl è tra i principali esponenti dell'ala moderata. È un ragionamento che in queste ore circola anche all'interno del Carroccio dove ci si continua a gurdare in cagnesco e dove la proclamazione di Maroni non viene ancora data per scontata. Anche perché un conto è "Bobo" altro il resto dei "Barbari sognati" che qualcuno comincia a criticare per eccessivo rampantismo.

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