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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2012 alle ore 07:00.
L'ultima modifica è del 10 aprile 2012 alle ore 10:11.

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L'interrogativo di fondo, preoccupato, che si sentiva ieri fra gli operatori di borsa a Wall Street si riconduceva alla stessa domanda di un paio di settimane fa: «Siamo a un realizzo di profitti o a una correzione?». La risposta non l'abbiamo ancora – ieri notte doveva parlare il Presidente della Fed Ben Bernanke e da oggi avremo il polso dell'economia reale con le prime trimestrali – di certo a cavallo della chiusura di ieri l'umore restava negativo.

I realizzi di ieri però, che scontavano il tasso sulla disoccupazione negativo di venerdì scorso, giungono dopo che la settimana scorsa la borsa aveva già perso un altro 1,2%, la più forte perdita dall'inizio dell'anno, in reazione alle tensioni europee.

Ci sono dunque considerazioni di medio-breve termine e di lungo termine che entrano nell'equazione, con impatto diverso. Sul fronte positivo, recenti analisi, una di queste pubblicata ad esempio ieri dal Wall Street Journal, rileva che le condizioni di fondo delle grandi aziende americane in uscita da uno dei periodi più difficili in 60 anni sono molto buone: «Le grandi aziende oggi sono più produttive, fanno buoni profitti, hanno enormi quantità di contante e pochissimo debito» ha scritto l'autorevole quotidiano americano. Lo stesso vale per le grandi banche americane. La combinazione di una aggressiva cura dimagrante e di una forte ricapitalizzazione consente alle grandi banche di essere in una posizione molto più solida di quella dei big europei. Nel breve termine tuttavia vedremo se nei prossimi giorni i risultati di «stock» delle aziende troveranno un loro contrappunto anche nei risultati trimestrali o se, come anticipano alcuni analisti, potrebbero già esserci dei segnali di calo delle attività.

Ma è il quadro di fondo dal punto di vista macroeconomico che preoccupa. La convergenza di segnali di tensione in Europa con debolezza interna sul fronte occupazione in America diventa il possibile epicentro per una correzione, per un aggiustamento dei valori di borsa cioè, che viene calcolato fra il 7 e il 10%. La formazione di nuovi salariati dipendenti sul livello di 120.000 unità contro i 203.000 attesi conferma infatti che la ripresa resta debole. Se il trend sarà confermato, in prospettiva i consumi resteranno deboli e gli introiti dello Stato saranno inferiori a quelli attesi in presenza di un quadro molto più solido sul fronte occupazione e di una situazione fiscale difficilissima. Consumi a rischio dunque. E visto che rappresentano il 70% del traino dell'economia americana una flessione rispetto alle attese non sarà presa bene dalla borsa.

Ci si aspetta che a questo punto Bernanke chiarisca di essere pronto a introdurre nuove manovre accomodanti. Ma il governatore della Fed sa di non avere molto cartucce a disposizione e preferirebbe attendere fino alla fine del 2012 per intervenire con una manovra espansiva per compensare gli impatti negativi attesi dalle inevitabili misure di austerità. Per questa mattina forse avremo chiarimenti anche sul quel fronte. Alla fine della settimana prossima infine sapremo, dopo gli incontri del Fondo Monetario, se l'atteso firewall per stabilizzare il debito sovrano europeo potrà decollare. La combinazione di un buon «muro antifuoco» e buoni profitti americani potrebbe cambiare un quadro tetro già entro la settimana. E forse, chissà, l'aggiustamento non diventerà correzione. Come si dice in America, «the jury is out».

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