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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2012 alle ore 07:51.
L'ultima modifica è del 13 aprile 2012 alle ore 08:49.
Il dibattito aperto con grande lungimiranza dal Sole 24 Ore, e che nelle ultime settimane ha coinvolto voci autorevoli in difesa del settore culturale del nostro Paese, rimarca l'importanza di adottare un approccio sistemico al problema ed evidenzia la necessità di una piena condivisione e collaborazione tra pubblico, privato e "terzo settore" nella valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Lo stesso straordinario successo di pubblico ottenuto dalle "Giornate di Primavera" del Fondo per l'ambiente italiano di pochi giorni fa – 600mila visitatori nei 670 beni aperti – testimonia la passione e l'interesse che accomuna gran parte della popolazione italiana.
Non dobbiamo però dimenticare che "arte e cultura" oggi si devono interpretare anche come ricchezza e occupazione generata, direttamente o indirettamente, sul territorio. È opportuno ricordare quanto emerso da nostri recenti studi sulle matrici delle interdipendenze settoriali dell'economia nazionale: 100 euro di incremento di Pil nel settore culturale generano un aumento di 249 euro di Pil nel sistema economico complessivo (con un moltiplicatore pari a 2,49), di cui 75 euro nell'industria. Sul fronte delle ricadute occupazionali, per ogni incremento di una unità di lavoro nel settore culturale italiano l'incremento totale sulle unità di lavoro nel sistema economico è di 1,65.
Nonostante ciò, oggi il posizionamento del nostro Paese nell'arena competitiva del settore culturale appare indebolito. È noto il dato secondo cui tra i primi 10 musei al mondo per numero di visitatori non ve ne è nemmeno uno italiano (gli Uffizi di Firenze si collocano in 19° posizione). Ma guardiamo a esempi meno conosciuti: il Children's Museum di Indianapolis non solo è il più grande spazio al mondo dedicato alle famiglie e all'infanzia, ma conta 1,16 milioni di visitatori all'anno e genera un impatto maggiore dei due principali team sportivi professionistici dello Stato dell'Indiana (gli Indiana Pacers nella Nba e gli Indianapolis Colt nella Nfl). Inoltre, il 30% delle sue entrate proviene dalle visite museali, e ben il 50% da donazioni (275 milioni di dollari nel 2010). L'impatto economico di questo museo è 4 volte superiore al fatturato di Pompei, senza averne le centinaia di anni di storia. Questo spunto solleva il tema del finanziamento della cultura. Purtroppo in Italia questo atteggiamento non è favorito dalla normativa fiscale: da nostre rilevazioni, nel 2010 più di 8 italiani su 10 si sono dichiarati favorevoli all'introduzione di ulteriori forme di incentivo fiscale per promuovere donazioni e sponsorizzazioni di eventi e manifestazioni culturali da parte dei privati.
L'Italia deve tornare ai fasti del passato, ri-meritare l'appellativo di "Belpaese" che le attribuirono Dante e Petrarca e attrarre nuovamente i viaggiatori esteri, come nel "Grand Tour" di Sei e Settecento. Ampie sono le possibilità di avviare un percorso virtuoso che stimoli sviluppo ed occupazione, ma sulla base di nuove leve. Pur in un momento quale quello attuale – in cui la crisi economica si è fatta sentire soprattutto nel settore culturale, per sua natura dipendente dai finanziamenti pubblici – il comparto può assumere una valenza anti-ciclica anche grazie alle potenzialità connesse alle nuove tecnologie per la valorizzazione del patrimonio culturale e ai settori "creativi". Oggi il concetto di "patrimonio culturale" non deve essere più limitato solo a realtà come Louvre o Pompei, ma deve estendersi ai nuovi media digitali, al design, all'agroalimentare, all'artigianato, alle attività e ai servizi (cinema, radio-TV, editoria). Questo è il motore di sviluppo da cui deve partire una nuova fase per la cultura in Italia, che possa rilanciare il Paese agli occhi del turismo internazionale e degli investitori esteri. Occorrono nuovi investimenti nella cultura e un'accelerazione dei rapporti tra pubblico e privato in senso positivo, anche potenziando il ruolo delle fondazioni private e del project financing in campo culturale.
Dobbiamo avere una rinnovata attenzione agli investimenti nella cultura come strumento strategico di politiche industriali. Dobbiamo spingere sull'evoluzione tecnologica in ambito culturale e avere una maggiore valorizzazione dei mestieri d'arte e riqualificazione del management dei beni culturali. In altre parole dovremmo poter favorire un vero e proprio rinascimento culturale, tecnologico e industriale legato all'arte, alla cultura e ai mestieri d'arte nel nostro paese.
Valerio De Molli è Managing partner di The European House-Ambrosetti
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