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Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2012 alle ore 14:56.

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Difficile rinunciare a presunte aree di protezione e garanzia slegate da contenuti concreti. Lo si scopre anche nel dibattito sul valore legale del titolo di studio. Secondo la consultazione in rete promosso dal Ministero dell'Istruzione e dell'Università, gran parte dei giovani vorrebbe mantenere il valore legale per accedere alle professioni o nei ranghi della Pa. Il tutto invocando maggiore selezione legata al merito. Un doppio risultato dall'abbinamento difficile. In realtà, la qualità formativa non può essere attestata da un foglio di carta valido da Nord a Sud del Paese, con tutte le relative differenze soprattutto di valutazione. Il valore legale del titolo di studio ha generato troppe iniquità. Ad esempio, non va bene se crea automatismi di carriera, senza merito. E non può essere di sbarramento a chi pur avendo enorme competenza non ha il "pezzo di carta". Basterebbe, sostituirlo con meccanismi che accreditano chi fa formazione. Di modo che chi vuole assumere non debba affidarsi a un diplomato - o laureato - generico ma sappia esattamente cosa sa fare chi ha di fronte. Come avviene nei migliori contesti internazionali. Nessun intento punitivo o discriminatorio. Sarebbe soltanto la rivoluzione del buonsenso.

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