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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2012 alle ore 08:28.
L'ultima modifica è del 24 aprile 2012 alle ore 08:28.

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Era il 12 novembre 2003 quando Parmalat rassicurava mercato e azionisti sulla disponibilità di fondi provenienti dalla liquidazione di una quota da 600 milioni di euro parcheggiata nel fondo Epicurum alle Cayman. Operatori e analisti caddero dalle nuvole: nessuno era a conoscenza dell'esistenza del fondo, qualcosa non funzionava. La conferma arrivò il 14 novembre con le dimissioni del direttore finanziario Alberto Ferraris. A febbraio aveva lasciato il gruppo, dopo 17 anni, un altro direttore finanziario, Fausto Tonna.
Bastarono poche settimane per fare emergere dubbi e menzogne, e una voragine da 14,5 miliardi di euro e più di 150mila risparmiatori inferociti: le obbligazioni e le azioni dell'impero del latte, settimo gruppo italiano, una multinazionale con 38mila addetti nel mondo, non valevano nulla. Ci sono voluti otto anni e mezzo per la sentenza di secondo grado che ha condannato Calisto Tanzi a 17 anni e il ragioniere Tonna a 10 anni. Nonostante il mea culpa dal carcere dell'ex cavaliere, la ferita non si è rimarginata, lasciando irrisolta la questione della tutela del risparmio, l'asset più prezioso del Paese, troppo spesso maltrattato, dimenticando che è stata la nostra àncora di salvezza nei momenti difficili.

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