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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2012 alle ore 15:00.

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Fu Alcide De Gasperi a coniare l'espressione "una specie di laburismo cristiano", in una lettera del 1952 a papa Pio XII. Il leader della Dc si riferiva all'alternativa che era serpeggiata nel suo partito e che si richiamava a Giuseppe Dossetti e alla sinistra interna di "Cronache Sociali". La definizione era felice perché individuava l'orientamento di un'area cattolica che effettivamente praticava una serie di opzioni, dal rilievo accordato all'azione sindacale alla preferenza per l'economia mista, in cui era visibile una matrice laburista, non foss'altro per l'interesse verso l'esperienza di governo di Clement Attlee nel Regno Unito fra il 1945 e il '51.

In questo contesto, il laburismo non suona affatto come un'evocazione forzata o, peggio, un'allusione strumentale. Coloro che si sono soffermati sulla storia della sinistra cattolica fra il dopoguerra e gli anni 60 hanno rintracciato un imprinting cui non era estranea una traccia laburista in senso proprio. La programmazione economica e il keynesismo, l'azione dinamica del sindacato nello sviluppo e la politica dei redditi, hanno innervato una linea politica e sociale, rendendola meno provinciale.

Non sempre il linguaggio politico si rivela altrettanto aderente alla natura dei problemi. Anche ora, in Italia, sono di moda il "laburismo" e i "laburisti", ma con una torsione che toglie a questi termini il significato originario. Nel Pd la tendenza è a contrapporre la componente "laburista", filo sindacale, fondamentalmente contraria a modificare alcune regole del mercato del lavoro (a cominciare dal famigerato articolo 18), rispetto all'anima "liberale" del partito, assai meglio disposta. Il richiamo al laburismo si ritrova nelle conclusioni del saggio che il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, ha appena pubblicato (Il lavoro prima di tutto. L'economia, la sinistra, i diritti, Donzelli, pp. 191, € 16,50). Fassina parla di un «neo-umanesimo laburista» capace di guidare la politica del Pd in materia di lavoro. Osserva che «le tradizioni socialista, socialdemocratica, laburista e del comunismo italiano sono state, nell'Europa occidentale, motori di promozione di dignità dell'uomo, quindi fattori di progresso, di civilizzazione del lavoro e di costruzione delle democrazie effettive». Quest'amalgama dovrebbe confluire con la tradizione e le posizioni del cattolicesimo, in special modo nella versione dell'enciclica Caritas in veritate, per dare luogo a una visione della «persona che lavora». Fassina sposa le parole di Benedetto XVI con quelle di Mario Tronti, per dimostrare che la "persona" (soprattutto se è la "persona che lavora") non coincide con l'"individuo", sostantivo troppo esaltato da quel "liberismo" che è la bestia nera del suo pamphlet.

Così però i lineamenti del laburismo storico si smarriscono del tutto. È vero che il Labour Party è impegnato in una revisione critica della sua recente esperienza di governo. Ed è vero anche che nelle istituzioni culturali che lo fiancheggiano si torna a parlare di diseguaglianze sociali e di rappresentanza sindacale. Ma basta scorrere il documento più recente della Fabian Society (The Economic Alternative) per accorgersi che i laburisti inglesi si misurano col futuro, senza pensare a un recupero della tradizione. Quanto ai valori di derivazione religiosa e alla loro traduzione in politica, si legga ciò che un giovane deputato laburista, lo storico Tristram Hunt, ha scritto paragonando la carriera di due "socialisti cristiani", il protestante ed esponente dell'ala sinistra Tony Benn e il cattolico iper-modernista Tony Blair.

Il confronto col laburismo e con le politiche che il laboratorio della socialdemocrazia europea sta mettendo a punto sarà tanto più importante per la sinistra italiana quanto più sarà di merito e avrà l'occhio rivolto al futuro, perché essa ha bisogno di una prospettiva per il domani più che del conforto delle tradizioni culturali.

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