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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2012 alle ore 09:34.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2012 alle ore 08:15.
Come scrive bene l'economista Enzo Rullani «il crocevia della nuova modernità», a cui l'Università deve preparare, «sta principalmente nel riuscire a comunicare tre elementi: senso, legami, valori». Serve, in definitiva, un pensiero articolato e critico – un pensiero pensante – , in grado di leggere segnali, di stabilire rapporti non del tutto evidenti, di decrittare ciò che è essenziale rispetto a quello che può essere trascurato.
Per arrivare a questo tipo di formazione, eccedente i singoli sillabi di istruzione, gli studenti devono essere messi in grado di sperimentare, almeno negli ultimi anni di studio, condizioni assimilabili a quelle richieste dalle nuove forme di organizzazione del lavoro e delle professioni; e questo perché le imprese, ormai, incalzate dal tempo che taglia tempi e spazi di manovra, molto spesso non sono più in grado di garantire ai nuovi arrivati disponibilità dilatate di adattamento all'ambiente lavorativo.
Di qui l'urgenza di avere quasi dei "semilavorati", almeno per quanto riguarda l'adattabilità ai nuovi contesti e la capacità di interpretare le situazioni e il peso relativo delle variabili in campo.
E, allora, appare riduttivo pensare di racchiudere la valutazione del valore di una istituzione, così decisiva, alla pratica di pesare principalmente la ricerca, e con criteri francamente artificiosi e opinabili nella pretesa della loro oggettività. Pur non volendo in alcun modo sminuirne il valore, andrebbe posta la domanda di come valorizzarne il contributo rispetto ai compiti ben più complessivi che una istituzione formativa, strategica nel preparare il futuro di una società che pretenda di non arrendersi, deve assumersi per restare significativa e non limitarsi a compiti di una razionalità ormai insufficiente rispetto alle domande e ai bisogni dei suoi utilizzatori.
L'università, per quanto ne si voglia limitare gli scopi, è e resta "un mondo", e gli attori principali – il core business, si sarebbe tentati di dire – sono gli studenti, con tutto il corredo inevitabile di aspirazioni, debolezze, di scarsità di esperienze specifiche e di voglia di capire quale sarà un futuro possibile. Questo mondo va affrontato in tutte le sue componenti, presidiato con strumentazioni meno standardizzate di un semplice ordinamento didattico; compreso e amato al di là delle tutele giuridiche e dei formalismi burocratici. Forse, con uno scatto di dignità progettuale, andrebbe ripensata la sua stessa natura, facendone un terreno per "ricostruire società", visti i bisogni, che il paese drammaticamente fa emergere, di ricomposizione di un tessuto relazionale in cui alcuni valori condivisi tornino a segnare il percorso e ad orientare comportamenti civili, prima ancora che economici.
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