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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2012 alle ore 07:56.
L'ultima modifica è del 07 maggio 2012 alle ore 08:03.

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Chi l'ha visto? Non il ragazzo irrequieto, il pensionato depresso, la moglie tradita scomparsi dalla circolazione e protagonisti della popolare trasmissione di Rai3. No, qui stiamo parlando di un milione e 300mila persone scomparse. E non dalle case, ma dalle statistiche Istat. Non eravamo infatti 60,8 milioni secondo le rilevazioni di settembre 2011?

Non si era trionfalmente superato il muro dei 60 milioni già all'inizio del 2009 (certo grazie al contributo degli arrivi e del tasso di natalità "rinforzato" dagli stranieri). Eppure, secondo le prime anticipazioni sui risultati del 15° censimento della popolazione italiana, ecco che siamo "quasi" 60 milioni, per la precisione 59,5 milioni. Finora nessuno ha lanciato un appello per questo esercito di fantasmi. Ma la domanda è lecita. Una risposta verrà dai conteggi definitivi che probabilmente ridurranno lo "scarto" (come è già avvenuto in occasione di precedenti censimenti). Per ora si può supporre che alla base delle defezioni in anagrafe ci siano i processi di turn over della popolazione straniera, in calo proprio di un milione e unità nel confronto tra anagrafe e censimenti.

Non vi è dubbio che l'improvvisa scomparsa di oltre un milione di abitanti sia un evento da "primissima pagina" che dovrebbe decisamente sconvolgere l'opinione pubblica. Eppure, quando il 27 aprile l'Istat ha ufficializzato, come prima anticipazione dei risultati del 15° censimento della popolazione, la cifra di 59,5 milioni i residenti in Italia alla data del 9 ottobre 2011, pochi ne sono rimasti sconvolti (o anche solo stupiti). Forse ancor meno si sono accorti che la stessa Istat segnalava a fine settembre, ossia nove giorni prima, un totale di iscritti in anagrafe - i residenti per l'appunto, - pari 60,8 milioni (ben 1,3 in più). Fuga in massa per sfuggire alle tasse o reagire al cambio di Governo che andava ventilandosi? Oppure semplice defaillance statistica? Niente di tutto questo.

In realtà la rettifica del numero di abitanti in occasione di una conta censuaria è cosa del tutto normale; anzi, è proprio una delle finalità del censimento. Così come altrettanto usuale è la dimensione "milionaria" della rettifica. Qualcuno ricorderà che i primi dati del censimento del 2001 segnalavano un numero di missingpersino superiore: 1,5 milioni di unità in meno rispetto al dato anagrafico; e un simile riscontro si era osservato anche con la precedente rilevazione censuaria del 1991 (-1,3 milioni). D'altra parte, l'esperienza insegna che, se si ha la pazienza di attendere il conteggio definitivo, gli scomparsi "a volte ritornano". Nel 1991 le risultanze finali hanno infatti ridotto lo scarto iniziale a "solo" poco meno di un milione di unità e nel 2001 il divario definitivo è sceso a circa 800mila: non è dunque irrealistico immaginare che, anche questa volta, il calo sarà in parte ridimensionato, tanto da ritenere che l'immagine di un Paese con almeno 60 milioni di residenti verrà alla fine ripristinata.

Ma se anche ciò che è accaduto non rappresenta né una novità, né un fatto definitivamente acquisito nei termini con cui oggi ci appare, resta pur sempre la curiosità di comprendere quali sia la spiegazione di un così alto numero di persone formalmente iscritte in anagrafe ma di fatto assenti, o almeno non reperibili, là dove dovrebbero risiedere. Partiamo da alcuni dati strutturali e territoriali. L'esercito dei "fantasmi" nelle anagrafi del 2011, il cui peso a livello nazionale equivale al 2,2% dei censiti, sembra per lo più formato da maschi, 739mila contro 573mila femmine, e risulta localizzato soprattutto al Centro-Nord, con punte d'incidenza pari al 7,4% dei censiti a Milano e al 6,4% a Roma (a fronte dell'assai minore 1,1% di Napoli o dell'ancor più modesto 0,3% di Palermo).

Ciò non è tuttavia sorprendente allorché ci si rende conto che alla base delle defezioni in anagrafe ci sono, molto verosimilmente, i processi di turn over della popolazione straniera. Una popolazione che, non a caso, dal confronto tra anagrafe e censimento risulta in deficit per circa un milione di unità – a un'aspettativa di 4,8 milioni di residenti corrispondono 3,8 milioni di censiti – per il 30% mancanti nelle regioni di Nord-Ovest, per il 17% al Nord-Est e per il 36% al Centro.
Se poi a questo accostiamo il dato sull'intenzione degli immigrati a trasferirsi all'estero nei prossimi dodici mesi - un dato che l'indagine Orim-Ismu del 2011 stima pari al 5,4% con destinazione paese d'origine e al 5,1% verso altre nazioni - l'ipotesi che i trasferimenti senza cancellazione anagrafica accumulatisi nei dieci anni dalla precedente conta censuaria spieghino in buona parte il suddetto deficit non è del tutto priva di fondamento.

In ogni caso, saranno anche usciti alla chetichella, senza informare nessuno e saltando i controlli burocratici, ma chi si sentirebbe oggi di affermare, stante la congiuntura economica di questi ultimi anni, che siano da bollare come "assenti ingiustificati"?
Università Milano Bicocca

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