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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2012 alle ore 07:14.
L'ultima modifica è del 17 maggio 2012 alle ore 08:19.
Quel che rimane della vecchia Serbia è alla sbarra al tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia dove si è aperto il processo per crimini di guerra e genocidio allo spavaldo generale Ratko Mladic, il meticoloso carnefice della pulizia etnica in Bosnia. La nuova Serbia ieri era seduta davanti alla tv per il match elettorale tra il presidente uscente Boris Tadic e Tomislav Nikolic.
Divisi su tutto, entrambi dicono di volere entrare nell'Unione europea, un processo innescato proprio dall'arresto di Mladic e di non voler cedere sulla sovranità del Kosovo.
Ma la vecchia Serbia e i fantasmi dei Balcani resistono. Un sondaggio recente afferma che metà della popolazione serba ritiene che Mladic non sia responsabile delle accuse mentre i socialisti, eredi di Slobodan Milosevic, hanno appena raddoppiato i seggi in Parlamento. Tra l'11 e il 15 luglio del 1995 a Srebrenica furono uccisi a sangue freddo 8mila musulmani. Nella disattenzione di una calda estate di vacanze si consumò il peggiore massacro in Europa dalla seconda guerra mondiale. Il processo a Mladic è la resa dei conti per il generale ma anche l'Europa non può ignorare i suoi fantasmi nei Balcani.
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