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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2012 alle ore 13:40.
L'ultima modifica è del 20 maggio 2012 alle ore 13:49.

Di là dall'Atlantico il premier italiano, Mario Monti, che nel pieno di una lacerante crisi dell'Europa introduce negli Stati Uniti i lavori del G-8.

Di qua, a Brindisi, tre bombole di gas con tre diversi inneschi che esplodono all'ingresso dell'istituto professionale "Francesca Laura Morvillo Falcone", troncando la vita di una ragazza di sedici anni, Melissa Bassi, e ferendo gravemente altre cinque persone.
Una compagna di scuola di Melissa, Veronica Capodieci, lotta per non morire.
Sono le due Italie che ritornano. A cavallo tra la ricerca di un futuro, per quanto difficile sia, e un salto nel passato di vite inermi abbattute dalla violenza terrorista. Le celebrazioni per l'anniversario dell'Unità sono ancora fresche di bandiere tricolori esposte un po' dappertutto, ed eccoci a qui a (ri)fare i conti con la storia di un Paese, non scordiamolo, che per tredici anni ha registrato i lavori di una particolare commissione parlamentare, la famosa "Commissione Stragi". Conti opachi, sempre complessi da decifrare fino in fondo, che ci costringono a passare da un'emergenza all'altra, in un'interminabile transizione che odora di sangue, di morti innocenti e di funerali di Stato.

È stata la mafia, o meglio la Sacra Corona Unita, che fa anch'essa il suo tremendo "salto di qualità" uccidendo giovani studenti con un timer puntato sull'orario d'ingresso della scuola? È stato qualcosa d'altro, cioè un colpo obliquo che assomiglia alla ripresa di quella "strategia della tensione" che ha insanguinato e avvelenato l'Italia per anni? Una scuola intitolata al magistrato Francesca Morvillo, moglie del giudice Giovanni Falcone morta con lui nella strage di Capaci il 23 maggio 1992, è un dato che fa riflettere. E proprio ieri, a Brindisi, avrebbe fatto tappa la Carovana antimafia.
Potrebbe essere questa la spiegazione, ancorché un ordigno fatto esplodere davanti a una scuola con l'intento di uccidere non abbia precedenti. Ma potrebbe anche non esserlo, e il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, lo ha detto chiaramente.

Con ciò rimettendoci tutti in una zona grigia di domande alle quali è difficile rispondere e che richiamano a un atto di terrorismo che ha come obiettivo la convivenza civile in un Paese. Dove la tensione sociale è già alta e dove l'antagonismo armato vecchio e nuovo (come paiono dimostrare l'agguato di Genova a un dirigente dell'Ansaldo e i proclami brigatisti al tribunale di Milano) si sommano, si ricompongono e si confondono, anche attraverso diramazioni internazionali, in una miscela la cui reale matrice è ancora tutta da analizzare.
Un atto di «terrorismo puro» (l'ha definito così il procuratore antimafia Pietro Grasso) serve appunto alla "creazione del terrore", ad allargare il perimetro dell'insicurezza personale e collettiva. A infondere paura. Paura che l'andare a scuola una mattina qualunque si trasformi in un appuntamento con la morte.

Sappiamo, questo sì, che un'Italia a corto di fiducia e dove la politica vive una crisi di credibilità più dura di quella sperimentata a cavallo del 1992 e del 1993, corre sul filo del rasoio. Tangentopoli, la svalutazione della lira, una crisi economica molto pesante, i governi di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, il "tecnico" venuto dalla Banca d'Italia per tirarci fuori da guai.
Anche allora ci furono le bombe. Ci furono le stragi.
Se quelli furono "tempi di ferro", quelli attuali sono diventati "d'acciaio".
In un'Europa in crisi d'identità e scossa alle fondamenta dalla deriva greca, l'Italia già in deficit cronico di riforme e di crescita è fragile come non mai, vestita solo del suo immane debito pubblico che l'ha resa vulnerabile sui mercati. È un Paese in tensione, dove il Governo di Mario Monti, in carica dai sei mesi e con l'appoggio di una maggioranza a sua volta in tensione, sta cercando di traghettare una nazione, fiaccata dai suoi ritardi, verso un orizzonte diverso da quello di un'emergenza cui segue un'altra emergenza di modernità.

Nulla è perfetto, e tanto meno lo è l'azione di questo governo. Tuttavia è un fatto che il terrorismo – due attentati in due settimane - prova a spezzare questa rincorsa, immobilizzando il Paese in una condizione di devastante minorità civile e sociale. Un Paese che nel 2012 finisce per non essere in grado di tenere aperti i suoi musei, una delle sue (bistrattate) fonti di ricchezza culturale, nella notte dedicata appunto ai musei perché la mattina, a Brindisi, tre bombole di gas sono state fatte scoppiare per seminare morte davanti a una scuola.
Lo Stato c'è, risponderemo con la "massima fermezza" hanno detto Monti e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Dai partiti, nel complesso, sono arrivate parole composte e richiami all'unità di intenti nella lotta contro ogni forma di violenza. Ma in tutta Italia, soprattutto, tante, tantissime, sono state le manifestazioni di solidarietà. Nelle strade e nelle piazze, sulla rete infinita dei social network, nei crocicchi del sabato pomeriggio davanti a un bar o una discoteca. Un intero Paese si è mosso, ha reagito, e questo, ancora una volta, è il modo migliore per non tornare indietro. Non abbiamo paura

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