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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2012 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 22 maggio 2012 alle ore 08:49.

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Con la vittoria di Tomislav Nikolic e l'ascesa in Parlamento dei socialisti di Iva Dacic, in Serbia tornano al potere in grande stile i delfini di Slobodan Milosevic. La sconfitta del presidente uscente Boris Tadic, un beniamino di Bruxelles, è stata inattesa soltanto per chi osserva distrattamente le vicende balcaniche. Ma anche questa non è una novità perché alla fine degli anni Ottanta, dopo il crollo del Muro di Berlino, nessuno badava alla crisi della Jugoslavia. I nazionalismi balcanici hanno risvegli improvvisi, ma non così imprevedibili. L'economia serba va male, la disoccupazione è alta, il dinaro si svaluta e la gente è delusa dalla transizione: o non vota - il tasso di astensionismo è stato da record - oppure va alle urne la Serbia profonda e militante, attratta dal messaggio populista e demagogico di Nikolic. Nikolic farà la politica dei due forni: una porta aperta all'Europa, che ha concesso alla Serbia lo status di Paese candidato all'Unione, e l'altra alla Russia di Putin, che promette di finanziare, come ha già fatto in passato, i bilanci passivi di Belgrado. Vedremo se i delfini di Slobo, più del loro ambizioso e disgraziato vojvoda, avranno maggiori doti di opportunismo.

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