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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2012 alle ore 07:52.
Fiat Industrial si fonderà entro fine anno con la controllata americana Cnh cambiando nome, spostando la sede legale in Olanda e forse lasciando anche Piazza Affari. Che impatto avrà l'operazione sul gruppo? Cosa significa per la piazza milanese e per il sistema Paese?
L'internazionalizzazione del gruppo Fiat è stata una delle principali linee guida di Sergio Marchionne fin dal suo arrivo al Lingotto, soprattutto per la parte auto rimasta in Fiat spa. Camion e trattori (Iveco e CNH) lo erano già, ma con una doppia struttura complessa e inefficiente dal punto di vista finanziario.
Di qui l'operazione annunciata ieri che, in prima battuta, potrebbe pesare soprattutto su Piazza Affari: se il titolo se ne andasse, sarebbe un altro colpo per un mercato già asfittico (Fiat Industrial è al decimo posto per capitalizzazione, poco al di sotto dei 10 miliardi di euro). La futura società sarà olandese, e a vantaggio di Amsterdam giocherebbe il fatto che la Borsa locale Euronext si è fusa con Wall Street; ma c'è sempre Londra come possibiltà alternativa. Il timore – sul mercato e tra gli analisti – è che la partenza di FI possa essere seguita in un futuro non troppo lontano da quella di Fiat, in caso di fusione con Chrysler: Fiat spa vale in Borsa poco più di metà di Industrial, ma il significato simbolico sarebbe molto più elevato – e non solo per Piazza Affari.
Quotarsi a Wall Street, il mercato finanziario più liquido al mondo, è indubbiamente utile per chi abbia una parte rilevante del business negli Usa, e lo è ancor di più in un periodo di crisi economica in Europa. Fiat Industrial ottiene il 43% dei ricavi nel Vecchio continente (dove ha il 60% dell'organico). Quanto pesa la crisi europea? «Solo in parte» dice Marchionne. Ma è ragionevole, mettendosi nei panni del numero uno di una multinazionale, valutare gli scenari peggiori: se Atene dovesse uscire dall'euro, la Spagna avvitarsi nella recessione e l'Italia (speriamo di no) seguirla, non sarebbe forse meglio essere quotati a Wall Street ed avere accesso immediato al mercato Usa? Non è un caso che già ora cresca il numero di gruppi europei che diversificano verso gli Usa le fonti di raccolta.
Certo, andare a Wall Street non implica necessariamente abbandonare Milano. Luxottica, il cui giro d'affari è all'80% negli Usa, si quotò proprio lì in prima battuta e poi arrivò qualche anno fa in Piazza Affari. Lo stesso Marchionne ha ricordato ieri che quattro anni fa, nel pieno della crisi Lehman, fu la parte europea di Fiat Industrial a tenere in piedi finanziariamente CNH.
Quel che più interessa ai 18mila dipendenti di Fiat Industrial nel nostro Paese (quasi il 28% del totale) è che non vi siano conseguenze sull'attività industriale e sui loro posti di lavoro; per questo ieri Marchionne ha spedito loro una lettera per rassicurarli: «Cambia la struttura del capitale, non l'assetto operativo». La loro domanda è: cosa succederebbe fra qualche anno con un gruppo basato ad Amsterdam, quotato a Wall Street e guidato da un manager americano – magari quel Richard Tobin che guida ora CNH e che qualche analista vede al volante della newco? Una risposta viene dal fatto che Fiat Industrial cambierà nome, ma non azionista di controllo: la Exor della famiglia Agnelli vedrà l'attuale quota del 30% diluirsi con l'operazione, ma rafforzarsi grazie al nuovo meccanismo dei diritti di voto doppi. Una riconferma dell'impegno di lungo periodo come socio di riferimento.
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