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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2012 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 21 giugno 2012 alle ore 08:35.
Il Sole 24 Ore lo aveva scritto in tempi «non sospetti»: a Porto Tolle c'è una ciminiera che unisce gli animi. Da ben sette anni. Una ciminiera attorno alla quale si sono coalizzati cittadini, lavoratori, associazioni economiche, enti pubblici che l'hanno eretta a simbolo della rinascita di un territorio. La ciminiera è quella della centrale Enel di Polesine Camerini, su cui il Consiglio di Stato ha emesso ieri sentenza definitiva: l'iter della riconversione da gasolio a carbone può ripartire (e non da zero). Può essere riavviato il procedimento di Valutazione di impatto ambientale da parte del ministero dell'Ambiente perché è valida la legge regionale che ha modificato nel 2011 le norme «limitative» del Parco del Delta del Po, dove sorge la centrale. Si tratta della vittoria di una comunità, contro le richieste di ambientalisti e «ricorsisti» che non hanno avuto la meglio sulla necessità di salvaguardare posti di lavoro, ben 3.800, fabbriche, indotto economico. Sviluppo, appunto. Lo dimostra l'unanime consenso di sindacati, imprenditori e lavoratori, questi ultimi pronti addirittura ad una class action contro chi si opporrà alla decisione del Consiglio di Stato. Ma è una vittoria che arriva dopo sette anni. Altro tempo servirà per completare i lavori. Tempo infinito, in cui non solo si è persa un'occasione di sviluppo dell'area, ma si è anche sfilacciata la capacità di attrarre investimenti stranieri, in una regione e in un paese che non possono permettersi di perdere opportunità di business. Né di ritrovarsi – secondo l'analisi di Ernst & Young pubblicata ieri – in undicesima posizione nella classifica delle nazioni dove è più promettente investire nei prossimi tre anni. Una lezione da non dimenticare.
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