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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2012 alle ore 06:30.

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Piegando l'aforisma di Kant, «da un legno così storto», come quello in cui pare scolpita la leadership del Paese, «non si può costruire nulla di perfettamente dritto». Prendiamo le rinnovate contorsioni parlamentari sulle norme anticorruzione, senza riguardi alla situazione di allarme per la tenuta stessa del sistema Paese.

Un'Italia che vorrebbe il potere legislativo concentrato su leggi efficaci, mirate alla ripartenza, vede invece una parte della maggioranza minacciare sfiducia se il Governo impedisce l'annacquamento dell'anticorruzione o votando (addirittura) contro il taglio del numero dei parlamentari. Se non fosse che simili posizioni ben si attagliano alla qualità personale dell'emiciclo, verrebbe persino da ipotizzare una regìa occulta per custodire intatte le cause di attuali, costose criticità.
Lascia interdetti anche quella parte di magistrati che sembrano aver smarrito il senso dei propri confini quando - per citare solo due esempi - si assiste la minuscola Procura di Trani che apre fascicoli a raffica su tutto quello che si muove (agenzie di rating, Agcom, Banca d'Italia, derivati, Berlusconi) o quella di Palermo che scava sulla "trattativa Stato-mafia", assestando colpi di ariete gratuiti e retroattivi alla solidità delle più alte istituzioni.

Accecati da una discutibile idea della politica e della giurisdizione, queste aree tanto potenti quanto autoreferenziali finiscono per demotivare il Paese reale, che cerca una via d'uscita affrontando tasse mostruose, mercati in agguato, disoccupazione, crateri finanziari e sismici che si allargano. Oltre che subire la concorrenza dell'illegalità diffusa o criminale. O qualcuno si illude che le imprese possano accantonare il problema? Ma chi le difende? Chi le garantisce dall'usura o dai vantaggi della mazzetta? Devono pensarci da sole, come dimostrano iniziative nazionali - il rinnovo e l'aggiornamento del protocollo di legalità Confindustria-Viminale - e locali - come l'inedito impegno dell'Ance di Como, a ristrutturare una villetta confiscata alla mafia, in cui nessuno sembrava voler mettere le mani.

Forse le cose non possono che andare così, la speranza può partire solo dalla società e non dai suoi eletti, come argomenta sull'ultimo numero de "Il Mulino" il politologo Alberto Vannucci, poiché i vantaggi di una più robusta legalità «ricadono su una platea indistinta di beneficiari, in genere inconsapevoli e disposti al più a un tiepido appoggio, mentre le ricadute negative si concentrano su categorie circoscritte di soggetti consci della loro posizione di rendita (politici e burocrati corrotti, imprenditori e professionisti collusi) ai quali per giunta è conferito un decisivo potere di iniziativa o di veto». E siccome le possibili ricette di una politica anti-corruzione richiedono l'azione «di un'élite politica disposta a investire in questa battaglia risorse di credibilità e di consenso lungo un arco di tempo sufficientemente esteso, auto-vincolandosi attraverso un impegno credibile agli occhi di cittadini, amministratori, imprenditori», risulta chiaro che il mondo dell'impresa dovrà continuare ancora a lungo a mettere in campo tutte le proprie forze senza aspettarsi aiuti decisivi da legislatori e sanzionatori, in tutt'altre faccende affaccendati.
ext.lmancini@ilsole24ore.com

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