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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2012 alle ore 07:36.
L'ultima modifica è del 28 giugno 2012 alle ore 08:59.

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«Arrivederci e che Dio l'accompagni». In gaelico stretto, lingua d'Irlanda, è stata scritta l'ultima parola della crisi nord-irlandese. L'ha pronunciata l'ex capo dell'Ira, Martin Mc Guinness, oggi vice premier del governo autonomo di Belfast, accomiatandosi dalla regina Elisabetta II in visita. La forma è sempre stata sostanza nel conflitto dell'Ulster, sequenza infinita di tradizioni e di riti, di simboli e segni.

Per questo la mano che la sovrana ha stretto all'ex terrorista ha assunto, sotto il cielo d'Irlanda, un valore autentico. Non basta per dire con certezza che la violenza sia seppellita per sempre, l'impazzimento delle più giovani generazioni è una costante nelle storia delle nove contee a nord di Dublino.

Eppure crediamo basti per annunciare che i protagonisti di uno scontro durato decenni - scontro fra corona e repubblica, fra religioni, fra condizione sociale e ambizione politica - abbiano definitivamente gettato le armi per volontà sia degli attori che fisicamente hanno ingaggiato il conflitto sia degli attori che idealmente lo hanno incarnato. Una buona notizia, per l'Europa.

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