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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2012 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 30 giugno 2012 alle ore 10:23.
I veri intenditori la preferiscono artigianale, creando interessanti spazi di mercato per piccoli o piccolissimi produttori di nicchia. Per il mercato di massa, però, la birra è sempre più orientata al gigantismo, dopo che una serie impressionante di fusioni societarie ha dato negli ultimi anni il controllo di circa la metà del settore a soli quattro grandi gruppi: AB InBev, SabMiller, Heineken e Carlsberg. Con l'operazione da 20,1 miliardi di dollari annunciata ieri attraverso la quale conquisterà la metà che non possedeva del messicano Grupo Modelo – largamente finanziata da credito bancario – Anheuser Busch InBev (essa stessa prodotto di numerose fusioni euro-brasiliane-statunitensi) consoliderà la sua leadership globale in un comparto in cui è facile prevedere ulteriori future aggregazioni. Non c'è «credit crunch» per operazioni di largo respiro internazionale con una solida logica industriale: le banche le finanziano volentieri, specie se portano il finanziato a rafforzare le sue posizioni sui mercati emergenti dai quali è attesa la maggiore crescita della domanda. E gli investitori appaiono ben disposti a credere in accordi che portano economie di scala e sinergie a molteplici livelli. Non mancano però fattori di freno ad altre concentrazioni di ampie dimensioni: uno è rappresentato dalle preoccupazioni Antitrust (già emerse nell'accordo di ieri con lo "scorporo" di una divisione distributiva); l'altro dalla relativa scarsità di potenziali target in un settore dove spesso la proprietà è ancora in mani familiari. Il che, tra l'altro, contribuisce a far salire il prezzo dei potenziali obiettivi di takeover.
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