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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2012 alle ore 15:28.
L'ultima modifica è del 01 luglio 2012 alle ore 17:41.

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Nel 1999 soltanto tre Paesi Ue (Italia, Belgio e Grecia) avevano un debito pubblico superiore all'80% del Pil e solo un altro (Bulgaria) sopra il 70%. Nel 2013, invece, secondo le ultime proiezioni della Commissione, vi saranno nove economie con debiti pubblici oltre l'80% (Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania) e altre tre sopra il 70% (Cipro, Malta, Austria). Inoltre, secondo l'Fmi, il debito pubblico Usa nel 2013 sarà balzato al 113% del Pil.

Il tutto senza considerare i debiti degli Stati federali (molti dei quali, come la California, versano in gravi difficoltà finanziarie), altrimenti il debito Usa risulterebbe già oggi superiore a quello del nostro Paese.

Nel 2013 il debito pubblico italiano sarà pari a 1.988 miliardi di euro. Quello tedesco sarà di 2.082 miliardi, quello francese di 1.946 miliardi e quello inglese di 1.532 miliardi di sterline, che al cambio attuale significano circa 1.900 miliardi di euro. Da notare, che i debiti pubblici di Francia e Gran Bretagna in valore assoluto venti anni fa erano poco più della meta di quello italiano e quello tedesco era inferiore. Mentre ora i debiti dei quattro maggiori Paesi europei sono sostanzialmente simili tra loro, con quello tedesco una spanna sopra gli altri.

Questi dati dimostrano inequivocabilmente che ormai l'Italia non è più la pecora "nera" del debito pubblico europeo e mondiale. Eppure, nel 2013 pagheremo interessi sul debito per la ragguardevole cifra di 91 miliardi di euro: 36 miliardi in più della Francia, che ha un'esposizione statale uguale a quella italiana, 21 in più della Gran Bretagna, che si sta avvicinando ai nostri livelli di indebitamento, e 27 in più della Germania, il cui debito è più alto di quello italiano.

Gli svantaggiosi tassi pagati dal nostro Paese riflettono, innanzi tutto, un deficit di credibilità dell'Italia, cresciuto a dismisura nell'estate-autunno dello scorso anno, a cui Monti sta cercando laboriosamente di porre rimedio nonostante i teatrini della nostra politica.

Ma, oltre a ciò, il differenziale sugli interessi a nostro sfavore è anche una conseguenza della rigida misurazione statistica del debito pubblico in rapporto al Pil. Tale rapporto, nel 90% dei casi, fornisce un'idea accettabilmente approssimativa, anche se non matematica (vedi Irlanda e Spagna), della sostenibilità attuale e futura del debito stesso. Ma nel restante 10% dei casi, come succede per Giappone, Belgio ed Italia, il debito/Pil è un parametro assai riduttivo e di ciò il nostro Paese farebbe bene a prendere coscienza anche per meglio argomentare la sua posizione a livello internazionale.

L'Italia, infatti, ha un patrimonio delle famiglie molto elevato che, anche solo limitatamente alla parte finanziaria, equivale a circa il 175% del Pil (il dato corrispondente è appena del 126% in Germania). Sicché il rapporto tra debito pubblico e ricchezza finanziaria netta privata fornisce un'idea più precisa della dimensione comparata del nostro debito statale che non il suo confronto con il Pil. Ciò non significa, ovviamente, che non debba essere avviata in Italia un'azione estremamente determinata di taglio della spesa pubblica improduttiva e degli sprechi che stridono con le virtù implicite nel nostro elevato stock di risparmio privato. Ma il rapporto debito/ricchezza cambierebbe parecchio la prospettiva di assegnazione dei rating dei debiti sovrani ed in particolare il rating italiano.

In questi giorni sulla stampa nazionale è stata rilanciata l'idea di un abbattimento del debito pubblico con varie modalità, ivi inclusa quella di una tassa patrimoniale sulle ricchezze più elevate. A nostro avviso il problema è mal posto. Non solo per le possibili conseguenze negative di una simile manovra sull'economia e sui movimenti di capitali. Ma, soprattutto, perché non si capisce per quale ragione la patrimoniale dovrebbe essere applicata unilateralmente solo da un singolo Paese, vale a dire il nostro. E ciò al semplice scopo di dimostrare alle altre economie e ai mercati che siamo capaci di ridurre drasticamente un puro rapporto simbolico, il debito/Pil, che nel caso dell'Italia è totalmente fuorviante circa la sostenibilità del debito stesso.

La riprova teorica di ciò si avrebbe qualora Monti sfidasse la Merkel ad introdurre una tassa patrimoniale in tutta l'Eurozona, eventualmente anche spalmabile su più anni. In Italia ciò comporterebbe sacrifici durissimi ma anche a Berlino, di fronte alla prova del fuoco, i cittadini tedeschi non riderebbero di certo. Che cosa accadrebbe, infatti, se tutti i Paesi della moneta unica decidessero di ridurre simultaneamente i propri debiti pubblici al livello del 60% del Pil mediante un prelievo sulla ricchezza finanziaria netta delle famiglie? In quel caso, come appare dalla tabella, anche dopo aver applicato una tassa patrimoniale relativamente più sostanziosa delle altre nazioni per abbattere il debito eccedente, l'Italia resterebbe tra le economie dell'Eurozona col più alto rapporto ricchezza/Pil, assieme al Belgio e all'Olanda. Più indietro vi sarebbero Francia, Austria e Germania. Questa ultima, in particolare, avrebbe una ricchezza finanziaria netta delle famiglie post tassa patrimoniale di 8 punti di Pil inferiore a quella delle famiglie italiane (senza considerare il patrimonio immobiliare, che nel nostro Paese è superiore).

Mentre nel caso dei Paesi "periferici" e della Spagna, il prelievo sulla ricchezza farebbe emergere lo stato effettivo delle difficoltà finanziarie di tali economie, dove il debito pubblico sta crescendo rapidamente a fronte di un netto ridimensionamento del patrimonio privato. Al punto che, dopo la teorica tassa patrimoniale, il già esiguo rapporto ricchezza finanziaria delle famiglie/Pil della Spagna si ridurrebbe al 51% (meno della metà di quello dell'Italia), quello dell'Irlanda scenderebbe al 15% e quello della Grecia andrebbe addirittura sotto zero.

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