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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2012 alle ore 07:38.

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La recente giurisprudenza sull'abuso del diritto richiede alcune riflessioni che riguardano sia il diritto del contribuente alla certezza del diritto sia i limiti che incontra il giudice nella creazione del diritto stesso.
Il senso del diritto è la ripugnanza della nuova regola adottata con i fatti, senza l'abrogazione formale della regola precedente e diversa, senza recezione espressa nell'ordinamento.

Il diritto ha il compito di garantire l'uniformità dei comportamenti sociali, rendendo possibile la previsione della valutazione futura e introducendo così nel processo economico un momento di alto valore costituito dalla sicurezza (Luigi Mengoni). Con il forte prevalere delle garanzie costituzionali (articolo 23) subentra nell'ordinamento una concezione della fattispecie legale diretta a garantire la certezza del diritto e specialmente una considerazione dei fatti diretta a rendere possibile l'applicazione perequatrice della legge.
La giurisprudenza fa politica ed è malata di protagonismo. Forse perché le sentenze vengono comunicate sui giornali in giornata, contestualmente al loro deposito, si sottolinea il nome del relatore come garanzia del prodotto e c'è un protagonismo fra i nostri giudici che produce conseguenze spiacevoli, come la richiesta dell'azione diretta di danno nei loro confronti per responsabilità civile che io ritengo pericolosa, perché pregiudica la serenità dei processi.
Non varrebbe la pena occuparsi di questioni risolte in via definitiva dalla giurisprudenza; ma occorre che questa rispetti gli stampi, vale a dire le regole e gli istituti consolidati.

Sul tema dell'abuso del diritto - in estrema sintesi, in materia tributaria, rientrano nell'abuso del diritto tutte le operazioni messe in atto allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale - la giurisprudenza della Corte di Cassazione raramente è uniforme, è invece contraddittoria, e anziché risolvere i problemi li moltiplica, ponendo il legislatore di fronte alla necessità di ridefinire nella legge una nozione (quella di abuso del diritto) che essa aveva definito un principio non scritto.
La Corte di Cassazione non ha rispettato lo stampo del processo tributario, che si pronuncia sulla pretesa dell'amministrazione finanziaria, ma non può applicare direttamente il principio del divieto dell'abuso; e ha fatto un riferimento improprio alla Costituzione, nel quale io ravviso la genesi della tendenza a configurare l'elusione come evasione.
È pur vero che la Corte di Cassazione ha avuto il merito di richiamare il terreno sul quale agisce la sua giurisprudenza, ma si è preoccupata di fare la predica all'amministrazione formulando il monito di applicare il principio "con particolare cautela". La cautela deve essere prima di tutto nella legge.

Le clausole generali come quella dell'abuso sono una particolare tecnica di configurazione della fattispecie legale, opposta al metodo casistico.
Essa fornisce al giudice lo strumento per scoprire una lacuna della legge e in pari tempo lo autorizza a colmarla con una decisione attenta a giudizi extra positivi. Il giudice partecipa alla formazione del diritto ma tale attività non è libera, bensì sottomessa alla legge.
Politica e diritto hanno la medesima struttura logica, ma il diritto non coincide con la politica perché è strettamente vincolato alle decisioni del potere legislativo.
Il giudice ha una sua funzione creatrice nei limiti di quella che si chiama la "precompressione" dell'interprete, costituita dalla sua educazione, dalla sua cultura etica, economica e politica, dalla comunione più o meno sentita con la tradizione della società in cui opera, dal modo in cui si riflette in lui la situazione storica in cui si trova, dalla sua capacità valutativa.
Tutti questi elementi condizionano la comprensione del testo da interpretare, ma non legittimano la creazione libera delle leggi.

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