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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2012 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 06 luglio 2012 alle ore 08:51.

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Una sentenza della Cassazione non può cancellare una pagina buia della storia d'Italia. Il ricordo delle violenze, del sangue, di giovani inermi picchiati nella scuola Diaz in modo assurdo e spietato dagli agenti di polizia resterà indelebile. Né le condanne definitive degli imputati o le somme che saranno restituite in sede civile alle vittime potranno eliminare le cicatrici di una ferita profonda per la democrazia.

Quelle immagini sono vive ancora oggi e anzi la pronuncia della Suprema Corte, se pure restituisce alla verità giudiziaria le responsabilità degli atti dei funzionari dell'ordine pubblico a Genova, riaccende per un attimo il dolore e la vergogna infinita per quelle scene da “macelleria messicana” come la definì proprio uno dei poliziotti protagonisti di quello scempio contro ogni dignità della persona umana. Come ha detto ieri il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, il caso della Diaz deve restare nella memoria.

E occorre il rispetto dovuto per la sentenza, aggiunge il capo della Polizia Antonio Manganelli. Certo, va ricordato che tra i condannati ci sono fior di investigatori che hanno dimostrato più volte uno straordinario valore professionale. Ma questo non poteva costituire un elemento di alibi o di attenuante per il Viminale di fronte al giudizio finale, cui ora verrà dato seguito subito con l'interdizione dai pubblici uffici dei condannati.

Il tragico capitolo delle violenze al G8 di Genova rimarrà indimenticabile e la sentenza della Cassazione, nel ricordarlo, è un monito e uno sprone: per dimostrare che le ombre sulla democrazie sono state fugaci e ogni giorno la stragrande maggioranza dei poliziotti lavora, tra sacrifici e grande generosità, per la sicurezza dei cittadini.

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