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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2012 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 17 luglio 2012 alle ore 08:34.

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I dati sull'export di maggio dell'Italia sono positivi sotto il puro profilo statistico. Indicano una crescita congiunturale buona dei valori destagionalizzati non solo mensili ma anche del trimestre "scorrevole" marzo-maggio su quello precedente. In termini tendenziali l'aumento dei valori grezzi su maggio dello scorso anno è stato ancor più marcato. Inoltre, il saldo con l'estero di maggio si è chiuso in attivo. Non bisogna però lasciarsi prendere da eccessivi ottimismi, e giudicare questi dati per quel che valgono. Indubbiamente essi sono una conferma del fatto che non è la competitività "esterna" quella che ci manca - come molti anche in varie sedi internazionali continuano a sostenere sulla base di una scarsa conoscenza dei fatti o di luoghi comuni - bensì la domanda interna, fiaccata dagli sforzi dell'austerità.

Inoltre, tali dati sono un'evidente ed ulteriore prova che le nostre imprese, pur nel quadro di un rallentamento complessivo del ciclo globale, stanno producendo uno sforzo enorme e molto apprezzabile per cogliere ogni possibile opportunità di mercato ed incrementare i già soddisfacenti risultati di export raggiunti nel 2011. Lo dimostra il dato destagionalizzato del trimestre "scorrevole" marzo-maggio 2012, che è il più alto mai toccato storicamente dalle nostre esportazioni.
Tuttavia, ai dati di commercio estero degli ultimi mesi va anche fatta un'opportuna "tara". Intanto, il marcato deprezzamento dell'euro sta gonfiando i valori delle nostre vendite stipulati in dollari ed altre monete. I risultati particolarmente buoni dell'export extra-Ue probabilmente incorporano in una misura non irrilevante questo effetto unicamente valutario.

Le vendite di alcuni beni, come i prodotti petroliferi raffinati e i metalli preziosi, sono quelle più interessate dal fenomeno. Inoltre, se le esportazioni extra-Ue vanno complessivamente bene, non altrettanto si può dire per quelle verso la Ue, che nei primi cinque mesi del 2012 sono diminuite dell'1,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non sono esclusivamente i mercati dei Paesi europei più colpiti dalla crisi e dalle manovre fiscali a soffrire, come ad esempio la Spagna, ma anche Paesi "forti" come la Francia e la Germania, particolarmente importanti per le nostre vendite all'estero. A ciò si aggiunge che tra gli stessi mercati extra-Ue ve ne sono alcuni di rilievo, come la Cina e l'India, che nei primi 5 mesi del 2012 hanno mostrato un evidente rallentamento. Abbiamo dunque davanti un futuro tutt'altro che rose e fiori per il nostro commercio estero, perché la crisi in Europa rischia di aggravarsi e la frenata dell'economia mondiale non risparmia nemmeno alcuni grandi mercati emergenti.

Ciò detto, dai dati di maggio e dei primi cinque mesi del 2012 emergono, in ogni modo, alcune tendenze che confermano il dinamismo delle nostre imprese esportatrici e la forza del commercio estero italiano sui mercati mondiali. Innanzi tutto, si riscontra un miglioramento della bilancia commerciale che non dipende solo da una generalizzata riduzione dell'import dovuta al più debole ciclo economico ma anche dal venir meno di un fenomeno abnorme come l'imponente import di celle fotovoltaiche che ha caratterizzato molti mesi del 2010-2011. Basti pensare che nei primi 4 mesi del 2012, periodo per cui sono disponibili dati più dettagliati di quelli diffusi ieri dall'Istat, l'Italia ha importato circa 2,8 miliardi di euro in meno di celle fotovoltaiche rispetto agli stessi mesi del 2011.

Sicché è da considerare molto positivo il surplus manifatturiero che l'Italia ha già messo a segno nei primi 5 mesi del 2012, pari a 34,3 miliardi di euro. Ciò per merito soprattutto delle macchine e degli apparecchi meccanici, che hanno fatto registrare un attivo di 18,8 miliardi, dei metalli e prodotti in metallo, con 5,1 miliardi, e dei mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli, con 5 miliardi. Chi continua ad affermare che l'Italia non presidia i settori hi-tech farebbe bene a considerare che nell'aggregato della metalmeccanica e dei mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli, da cui il nostro Paese ha ricavato in soli cinque mesi un surplus con l'estero di 29 miliardi di euro, siamo secondi al mondo solo a Germania e Giappone.

Dunque, il made in Italy non è più soltanto moda, mobili e cibo, settori peraltro nobilissimi e degni di rispetto che forniscono anch'essi attivi rilevanti alla bilancia commerciale italiana. L'altro elemento positivo è la conferma dell'importanza della differenziazione dei nostri mercati, non solo in Europa ma anche fuori di essa. Per cui se Cina ed India "battono in testa", come negli ultimi mesi, il motore del nostro export trova spazi per crescere altrove, come negli Stati Uniti, in Russia, Turchia ed anche in Africa.

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