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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2012 alle ore 08:33.

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Com'era prevedibile, Di Pietro è stato lesto ad approfittare del conflitto fra Napolitano e la procura di Palermo per guadagnare visibilità e porsi al centro della scena. Non è la prima volta e non sarà l'ultima. Possiamo considerarla una conseguenza minore della vicenda. Ma non è proprio così. L'ennesima offensiva del leader dell'IdV contro il Quirinale obbedisce a una logica politica e peserà sul futuro del centrosinistra.
In primo luogo è la conferma di un dato evidente. Qualcuno vuole una presidenza della Repubblica sempre più debole e lontana dagli incroci della politica.

Un tempo era la destra, ma da qualche tempo, diciamo dall'avvento del governo "tecnico" di Monti, gli attacchi vengono da un altro fronte. È il mondo che va da Beppe Grillo a Di Pietro fino, per certi aspetti, a un Vendola riluttante a mescolarsi ai primi due, ma costretto dalle circostanze a schierarsi sulla stessa barricata.

Ci sono sintonie, ma anche forti rivalità all'interno di questo arcipelago. Grillo ha offuscato da tempo Di Pietro: forse non gli ha sottratto voti (non ancora), ma di sicuro gli ha rubato la leadership dell'area protestataria, insofferente verso ogni istituzione, tentata dalla ribellione anti-sistema e perciò tifosa di una certa magistratura. Vendola, per cultura e storia personale, sarebbe lontano da una tale combinazione, ma anche lui avverte la pressione dei "grillini", benché al Sud il movimento Cinque Stelle sia ancora poco diffuso.

Il punto è che sta nascendo un agglomerato intorno a Grillo e Di Pietro, per quanto poco calorose e diffidenti siano le relazioni fra i due. Tuttavia entrambi pescano nello stesso elettorato, entrambi sanno che destabilizzare le istituzioni rappresenta per loro il mezzo più veloce per guadagnare spazio e attenzione mediatica. Il Pd si sta costruendo, non senza fatica, il profilo di una forza di governo in grado di interloquire con i ceti moderati, a loro volta in cerca di una nuova prospettiva? Ed ecco che Grillo apre il fuoco (non certo da oggi) sul partito di Bersani con il giochetto "Pd = Pdl meno elle". Ed ecco Di Pietro che bombarda il Quirinale. È probabile che i due non si siano neanche parlati, ma l'interesse è convergente e finisce per assorbire anche Vendola.

La stabilità istituzionale è essenziale per chi vuole costruire uno schieramento di governo, a sinistra come a destra. L'instabilità è invece il pane di chi intende ritagliarsi un ruolo decisivo nella prossima legislatura impedendo qualsiasi equilibrio nel segno della coesione nazionale. La difesa della Procura di Palermo, fatta da Di Pietro con toni di asprezza inusitata, va molto al di là del merito della questione: diventa un pretesto per attaccare Napolitano sul terreno politico e offenderlo sul piano personale. Quell'appello fuori contesto rivolto ai magistrati («resistere, resistere, resistere») riecheggia la famosa invocazione di Francesco Saverio Borrelli, ma qui non c'è una linea del Piave da difendere, a meno di non sostenere che è il presidente della Repubblica a minacciare lo Stato di diritto.

Bersani dovrà fare attenzione. La costruzione di un asse di governo progressisti-moderati è ancora in alto mare e nessuno può garantire che sarà seducente agli occhi dell'elettorato. Viceversa, l'asse alternativo Grillo-Di Pietro (e in parte Vendola, volente o nolente) si muove già con assoluta spregiudicatezza a caccia di consensi. Ci sono voluti quasi due giorni prima che il segretario del Pd si decidesse a qualificare come «indecenti» gli attacchi al capo dello Stato. È la prova che stiamo assistendo a una corsa asimmetrica e piena di zone d'ombra. Quando invece sarebbe necessario che il Pd si attrezzasse per giocare la partita elettorale contro questo inedito e vigoroso agglomerato. La sfida del futuro governo passa di qui.

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