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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 06:41.

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Quella di Atiku Abubakar non è l'unica storia di petrolio e corruzione in cui è emerso il nome di Gabriele Volpi. Ce ne è anche un'altra, di cui è stato protagonista Dan Etete, ministro del petrolio in Nigeria durante il periodo del dittatore cleptomane Sani Abacha. Una storia che proprio in questi ultimi giorni ha avuto uno strascico inaspettato. Il Sole 24 Ore ha infatti appurato che il 2 luglio scorso una commissione d'inchiesta speciale della Camera dei deputati nigeriana ha inviato una nota formale all'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni chiedendogli informazioni e documenti sull'acquisto di un campo petrolifero in Nigeria per oltre un miliardo di dollari. La commissione sta indagando sulla possibilità che quei soldi, per intero o in parte, direttamente o indirettamente, siano finiti nelle tasche di Etete.
Nel novembre del 2007 l'ex ministro è stato condannato a tre anni di carcere dal tribunale di Parigi per riciclaggio di denaro. Tra il 1999 e il 2000 aveva comprato un appartamento nel centro di Parigi, una casa in uno dei sobborghi più chic della capitale francese e un castello nel nord ovest della Francia. Per un totale di 15 milioni di euro, cifra pari a 100 volte il suo stipendio annuale di ministro. La procura francese ha ritenuto che quei fondi provenissero da tangenti pagate dalla società petrolifera francese Elf-Aquitaine e da quella canadese Addax Petroleum.
Ma non è niente rispetto alla cifra che Etete avrebbe incassato l'anno scorso dalla vendita di una vecchia concessione petrolifera che lui stesso si è assegnato appena prima di lasciare il ministero.
Il 28 aprile 1998, appena prima del crollo del regime del generale Abacha, in qualità di ministro del petrolio, Etete conferisce la concessione per lo sviluppo di un campo petrolifero offshore, il blocco 245, alla Malabu Oil and Gas Ltd, società che si è dimostrata da lui stesso controllata attraverso fiduciari. Il 2 luglio 2001, con Olusegun Obasanjo presidente e Abubakar suo vice, il nuovo governo decide però di revocare la concessione. Motivo ufficiale: la procedura di conferimento è stata «irregolare… non trasparente e non etica». Difficile non convenire, visto che il blocco 245 è stato assegnato dal ministro del petrolio dell'epoca a una società da lui stesso controllata. Ma quella decisione non è apparentemente motivata dalla volontà di ristabilire la legalità procedurale. Bensì di appropriarsi di una concessione che nel frattempo si è rivelata valere miliardi.
Da un rapporto del Parlamento nigeriano è emerso che, una volta al potere, l'amministrazione Obasanjo-Abubakar preme su Malabu perché ceda a suoi accoliti una partecipazione societaria. Forzando il conferimento del 50% delle sue quote a una società scelta da Abubakar, la Pecos Energy. E consulente di Pecos è proprio il nostro Gabriele Volpi. A detta di Etete, è stato proprio lui a negoziare quella transazione per conto del vicepresidente.
Ma l'appetito di Abubakar è insanziabile e poco dopo si rivolge nuovamente a Etete per il restante 50%. In seguito al suo rifiuto la concessione viene revocata. L'ex ministro fa però ricorso a più tribunali.
La saga del blocco 245 si è trascinata irrisolta per un decennio. Fino all'anno scorso, quando è stato acquisito dall'Eni, che assieme alla Shell ha firmato un accordo con l'attuale governo nigeriano aggiudicandoselo per oltre un miliardo di dollari.
A Lagos e Abuja si è immediatamente diffusa la voce che una grossa fetta di quei soldi - centinaia di milioni, si dice - sia stata girata a Etete. Insomma, alla fine il ministro del petrolio che si è autoconferito un blocco miliardario l'avrebbe avuta vinta. Forse anche perché sulla poltrona del suo ex ministero siede oggi la sua assistente dell'epoca.
La vicenda ha però spinto la Camera nigeriana a creare un'apposita commissione d'inchiesta. Che il 2 luglio scorso ha chiesto a Scaroni «un dettagliato rapporto sul suo ruolo, su come è venuto a sapere che quel campo petrolifero era in vendita e sul suo coinvolgimento nella transazione sin dal suo inizio». Richiesta arrivata a Roma sei giorni dopo e prontamente protocollata.
Al Sole 24 Ore risulta che l'Eni e Shell non abbiano pagato il governo nigeriano bensì, in base a un accordo con le autorità locali (e Malabu), abbiano depositato oltre un miliardo di dollari su un conto vincolato a garanzia presso JP Morgan. Dall'Eni ci informano che «la risposta è stata data dalla nostra controllata locale, Nigerian Agip Exploration Limited, Nae, la quale ha spiegato di aver acquisito il blocco Opl 245 con Shell direttamente dallo Stato nigeriano e senza alcun intermediario». Da parte sua, la commissione nigeriana sta cercando di capire a chi esattamente siano finiti quei soldi.C.G.
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