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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 08:23.

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Con un voto di fiducia a validità doppia (due decreti accorpati, una novità) il Senato ha approvato la revisione della spesa pubblica e le norme sulle dismissioni del patrimonio pubblico. Ora il provvedimento passa alla Camera, che l'approverà ben prima di Ferragosto.

I tempi, assieme ovviamente ai contenuti, sono una variabile fondamentale. In Italia e in Europa, dove il Paese è impegnato, prima che sui numeri, in una battaglia di credibilità politica.
Possiamo battere qualche pugno sul tavolo, chiedere che gli impegni vengano mantenuti e non elusi (come lo scudo anti-spread) solo alla pre-condizione di essere rispettati per il lavoro che facciamo a casa nostra per tirarci fuori dai guai.
Il premier Mario Monti intravvede la possibile «fine del tunnel» ma l'emergenza non è finita, come dimostra il "no" di Berlino (per la verità previsto e prevedibile) alla licenza bancaria al nuovo fondo salva-stati Esm che ieri ha gelato i mercati e fatto risalire lo spread tra BTp e titoli decennali tedeschi.

L'Italia, a partire dal Governo e dal Parlamento, non ha alternative: deve tirare dritto cercando di cogliere ogni occasione utile sia per rafforzare l'azione anticrisi nel momento in cui il ciclo economico peggiora sia per correggere i passi sbagliati, o incerti, che ha compiuto.
Dovrebbe far poi riflettere un altro "no", in questo caso maturato a sud di Roma, a Palermo. La spending review regionale s'è arenata al primo tentativo di manovra. E i conti pubblici (malati) della Sicilia, al di là delle dimissioni del governatore Raffaele Lombardo, ora scottano ancora di più sia a Roma che a Bruxelles. Un'emergenza nell'emergenza.
Dire che siamo in tempi di guerra può sembrare un richiamo logoro e abusato. Però di questo si tratta.

Ci sarà dunque tempo e modo per discutere sulla "svolta" del Senato che in sede di conversione in legge di due decreti ha proceduto in un accorpamento che non ha precedenti. Così come sarà da approfondire l'intreccio di regole fiscali in movimento continuo che da mesi cambiano, e si cambiano, l'una dopo l'altra e l'una con l'altra. Mentre è diventato ormai inutile chiedersi se questa o quella misura appartiene a una nuova manovra correttiva, che peraltro il premier Monti continua a smentire.
Il fatto è che nella "manovra" ci viviamo dentro da un anno e continueremo a viverci per lungo tempo. Se mai qualcuno l'avesse dimenticato, conviene ricordare che il nuovo "Patto fiscale" europeo (salvo sorprese a settembre da parte della Corte Costituzionale tedesca che agisce da sentinella sui confini fra trattati europei e prerogative del Parlamento nazionale) contiene due regole fondamentali.

La prima è il pareggio di bilancio (che l'Italia ha appena introdotto in Costituzione e che è da intendersi come "strutturale", cioè al netto degli effetti sul bilancio della crisi recessiva) e la seconda è il percorso di rientro del debito pubblico in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil): ogni anno dovrà scendere di 1/20 della distanza tra il suo livello effettivo (oggi oltre il 120%) e la soglia "ammessa" del 60%. Ambedue queste regole nella pratica "fanno" e faranno manovra.
Da questo punto di vista la spending review presenta un primo dato certo. Per la prima volta dopo mesi di accelerazioni dal lato del fisco si è scelto di evitare l'aumento di due punti dell'Iva che sarabbe scattato dal primo ottobre. Se ne riparlerà entro giugno del 2013, ma è un segnale forte il fatto che si sia evitato un passo pericoloso nel momento in cui il ciclo economico peggiora, e non di poco. Altri ne andranno fatti in questa stessa direzione, alleviando il carico tributario che grava su lavoro e imprese. Una riforma di "struttura", come si dice.

Impossibile? No, se la revisione della spesa accelererà, essa sì, la corsa. Due altri segnali, per la verità, mostrano quanto sia difficile aggredire i problemi. Il primo è il sempreverde tema delle province, ora attese ad una fase di "riordino". Qui è decisiva la questione attuativa, tappa dopo tappa: basta un colpo a vuoto per far tornare nei cassetti ogni buon proposito. Il secondo è il passo indietro (colpite solo le aziende che hanno fatturato quasi esclusivamente alla Pa) sulle Spa pubbliche dove saltano i tagli per cda e personale. E se le imprese del "capitalismo municipale" tirano un sospiro di sollievo, non altrettanto si può dire per chi ha a cuore l'apertura dei mercati e una concorrenza vera.
Lascia invece ben sperare il richiamo del "commissario" Enrico Bondi. A settembre, ha detto, per la revisione della spesa ci sarà la "resa dei conti" grazie ai costi standard che funzioneranno da parametri cui dovranno attenersi le amministrazioni locali. Non c'è dubbio: se entrano in pista i costi standard, vecchia bandiera di un federalismo che si è perso per strada, c'è da prevedere una rivoluzione sul fronte della spesa pubblica. Quella più attesa dai contribuenti.

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