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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2012 alle ore 08:08.

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Un avviso di garanzia, lo dice la parola stessa, non è una condanna. Lo spirito con cui fu introdotto nel nostro ordinamento è stato proprio quello di garantire a chi è oggetto di indagini penali il diritto di sapere di che cosa è accusato, così da potersi difendere in modo adeguato e tempestivo. Sulla base di questo principio, l'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel – come avvenne per Cuccia e Maranghi nel salvataggio del gruppo Ferruzzi quasi vent'anni fa – dovrà ora dimostrare che le manovre e i comportamenti messi in atto per evitare una bancarotta disordinata dell'ex impero dei Ligresti non sono andati oltre i confini di quanto è consentito dalla legge. In gioco, non c'è soltanto la sua reputazione, l'onorabilità di Mediobanca o il futuro della fusione tra Unipol e Fonsai, ma la credibilità dell'intero sistema finanziario nazionale in una delle fasi più critiche nella storia dei nostri rapporti con la comunità finanziaria internazionale.

Ci sono voluti venti anni per togliere al mercato italiano quell'immagine di "murky water", acqua torbida, che il Financial Times ci affibbiò giustamente con il tracollo del gruppo Ferruzzi. Ora rischiamo di non avere più lo stesso tempo a disposizione per rifarci un'immagine: con il Paese sotto attacco speculativo, la correttezza e la trasparenza del nostro mercato finanziario sono un requisito essenziale e irrinunciabile, che nessun manager o banchiere può pensare di barattare per salvare se stesso, i suoi clienti o i suoi azionisti.
Bene dunque ha fatto la magistratura ad accendere un faro non solo sul ruolo dei Ligresti nel dissesto del loro gruppo assicurativo, ma anche ad approfondire le indagini sui rapporti intercorsi tra Mediobanca e i Ligresti: il reato di salvataggio non è contemplato nel nostro ordinamento, ma nessun interesse particolare - o di sistema che sia - può o deve prevalere sulla legge, sui diritti del mercato e sulla tutela dei risparmiatori.

In quest'ottica, Alberto Nagel saprà certamente difendersi dalle accuse e dimostrare la propria innocenza, così come afferma in pubblico e in privato. Ma non c'è dubbio che il manager di Piazzetta Cuccia parta da una posizione complicata, e non solo per colpa sua: rapporti storici ben consolidati, personali e finanziari, hanno reso fin troppo complesso e intricato il legame tra Mediobanca e i Ligresti, creando un terreno fertile a sospetti e illazioni.
Non solo. La difesa di Nagel dovrà muoversi su un campo insidioso, fatto di patti di sindacato, di partecipazioni incrociate e di operazioni con parti correlate che hanno reso Mediobanca non solo il crocevia della finanza italiana, ma purtroppo anche un pericoloso coacervo di conflitti di interesse che questo giornale non ha mai esistato a denunciare. Dal conflitto di interessi al conflitto legale, il passo diventa ormai sempre più breve.

Detto questo, è bene anche ricordarsi che un avviso di garanzia non è una condanna, anche se per un banchiere è certamente uno stigma pesante che grava sulla propria reputazione e su quella dell'istituzione che dirige.
Oggi si è appreso che quando una settimana fa Alberto Nagel ha ricevuto l'avviso di garanzia per ostacolo alla vigilanza, avesse rispolverato un vecchio articolo del Corriere della Sera scritto dal direttore Ferruccio de Bortoli su quando fu Enrico Cuccia a ricevere un avviso di garanzia nell'inchiesta sul crack Ferruzzi: «Se tutte le volte che do un consiglio a un mio cliente divento un amministratore di fatto della sua società – disse un banchiere nemico di Mediobanca al quotidiano milanese –, allora è meglio che cambi mestiere».

Oggi come allora, era il 1994, il vertice di Mediobanca è accusato di aver avviato un salvataggio solo nel proprio interesse, non in quello delle parti o del mercato. A Nagel, oggi, si rimprovera di essere andato oltre il mandato di advisor, diventando un complice dei Ligresti perché a conoscenza di loro richieste da girare all'Unipol, ma mai comunicate alle autorità di vigilanza.
Sarà la magistratura a stabilire se è così. Per ora, si può solo rilevare che è difficile sostenere che un consulente diventi complice del proprio cliente semplicemente per il fatto che accetta di occuparsi dei suoi desiderata. Mediobanca è passibile di molte critiche, ma è bene ricordare che a muovere le accuse contro Nagel sono i membri di una famiglia non solo poco credibile, ma i cui comportamenti irresponsabili sono stati denunciati persino dal collegio sindacale di Fonsai.
L'onorabilità è un requisito che non si può coniugare con il sospetto. E fugare al più presto i sospetti è ciò che si auspica non solo Mediobanca, ma l'intero mercato italiano.

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