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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2012 alle ore 06:38.

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In Italia il problema della spesa pubblica è la cattiva qualità



Caro Galimberti,
mi riferisco alla Sua risposta «I dinosauri della Bundesbank e i timori dei tedeschi» al lettore Anselmo Calabossi (Il Sole dell'8 agosto 2012). Non sono d'accordo con la Sua analisi, che pure contiene delle verità. I tedeschi avranno pure paura dell'iperinflazione, ma in primo luogo non vogliono essere le formiche che pagano per le cicale italiane.
Scrive Sergio Rizzo nell'articolo «Gli smemorati del Belpaese» (Corriere della Sera del 29 luglio 2012): «Se l'Italia allineasse i costi per il funzionamento delle pubbliche amministrazioni a quelli della Germania il risparmio sarebbe di 50 miliardi l'anno. Far finta di ignorarlo è da irresponsabili». Penso che molti italiani sarebbero disposti a fare i cosiddetti sacrifici, ma che il denaro recuperato serva per ridurre il debito pubblico non certo per finanziare sprechi e privilegi a non finire. Che la si smetta di erogare servizi gratuiti a chi ha tanto togliendo a chi ha poco. Il problema di quello che sta succedendo non sono i tedeschi e la loro psiche, ma noi italiani, la nostra "allegra" esistenza e il nostro enorme debito pubblico.
Cordiali saluti.
Lettera firmata
Caro lettore,
i confronti fra i costi delle macchine statali nei diversi Paesi sono sempre irti di difficoltà. Andando a spulciare nei dati Eurostat sulla spesa pubblica per funzione (rinvenibili in http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/government_finance_statistics/data/main_tables)si trova che, per il 2010, le spese per i "servizi pubblici generali" erano pari, per abitante, a 1846 euro in Germania e a 2107 euro in Italia. Se potessimo portare quella spesa ai livelli tedeschi risparmieremmo circa 16 miliardi di euro. Ma nella spesa pubblica ci sono molte altre funzioni. Come ho scritto recentemente (vedi Il Sole-24 Ore del 1° maggio 2012) nella spesa bisogna distinguere quello che si può tagliare da quello che non si può tagliare perché è l'inesorabile conseguenza degli errori del passato: gli interessi, che dipendono dal debito e dai mercati; e le pensioni. Per le pensioni spendiamo troppo ma la sola cosa che possiamo fare (non si possono tagliare se non in pochi casi le pensioni in essere) è quella di contenere le pensioni future. Ed è quello che abbiamo fatto: il nostro sistema pensionistico è costoso, ma nei decenni a venire costerà di meno, mentre quello di molti altri Paesi, inclusa la Germania, costerà di più. Ora, se togliamo dalla spesa pubblica questi pesanti echi del passato - interessi e pensioni - ci accorgiamo che il peso della nostra spesa è il più basso (in quota di Pil) fra i Paesi dell'Eurozona (in particolare - dati 2010 - 32.4% per l'Italia contro 34.5% per la Germania). Forse i tedeschi dovrebbero chiederci come facciamo a spendere così poco.
Come si conciliano - scrivevo - questi dati con l'evidenza di tanti sprechi, tante malversazioni, tante fannullonerie, tanti costi scandalosi...? Le due cose non sono incompatibili. Vuol dire che la spesa che c'è è di bassa qualità. Insomma, il problema della spesa pubblica in Italia è un problema di qualità più che di quantità. Il nostro problema è un problema della spesa cattiva che c'è (per esempio, come lei accenna, dando assegni ai falsi invalidi o serizi gratuti a chi ha già tanto del suo)e della spesa buona che non c'è. E innalzare la qualità è molto più difficile che abbassare la quantità.
Realtà d'impresa a tre dimensioni
Molti decenni fa, il banchiere e mecenate Raffaele Mattioli disse all'editore Giulio Einaudi: «Se il bilancio fosse solo uno specchio mi darebbe tutt'al più un'immagine bidimensionale, mentre la realtà (aziendale) ha almeno tre dimensioni, perché è una realtà viva». Oggi che nelle banche prevale la stretta creditizia è necessario, che gli istituti di credito coraggiosamente ripartano da un'analisi dei bilanci seria e approfondita, per capire le potenzialità e la profondità dei progetti aziendali e la strategia imprenditoriale
Andrea Sillioni
Bolsena (VT)
Il business degli animali domestici
In riferimento al servizio pubblicato ieri a pagina 34 “Non c'è crisi per guinzagli e crocchette”, si precisa che il valore di 800 milioni di euro non è riferito al fatturato della sola Mars Italia (multinazionale, tra gli altri, del marchi Whiskas e Pedigree), ma all'intero segmento italiano dei fuoripasto per cani nel comparto alimentare per animali domestici.

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