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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2012 alle ore 08:02.

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Il caso di Julian Assange è molto complicato e si possono avere varie opinioni sul personaggio e sul modo in cui è stato perseguito. Il fondatore di Wikileaks dimostra di essere estremamente abile nell'attirare su di sé l'attenzione dei media ed è difficile sfuggire all'impressione che si tratti di un astuto manipolatore.

La sua mossa di chiedere (e ottenere) asilo politico nell'ambasciata a Londra dell'Ecuador ha scatenato l'ennesima crisi diplomatica. È molto discutibile che le autorità di Quito abbiano accolto la tesi di Assange, secondo cui la consegna alle autorità svedesi rappresenta una violazione dei suoi diritti umani perché porterebbe all'estradizione negli Stati Uniti e a un processo che non potrebbe definirsi equo e finirebbe con una condanna a morte. Ma altrettanto criticabile è stata la minaccia britannica d'intervenire nell'ambasciata dell'Ecuador per arrestare Julian sulla base del Diplomatic and Consular Premises Act del 1987.
Quella legge fu approvata in un contesto completamente differente, dopo che una poliziotta londinese era stata uccisa con un colpo d'arma da fuoco sparato dall'ambasciata libica contro una manifestazione anti-Gheddafi.

L'obiettivo era anche di impedire attività terroristiche nelle ambasciate. Nella lotta al terrorismo - come in quella alla mafia (ovvero di fenomeni che minacciano le basi dello stato democratico) - leggi speciali possono essere ammesse per un periodo limitato. Ma in tempi di pace e nei confronti di presunti criminali comuni non si possono rimettere in gioco princìpi sanciti dalla Convenzione di Ginevra come la neutralità delle sedi diplomatiche. Nemmeno se si è sul suolo britannico.

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