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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2012 alle ore 06:39.

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Intelligenza e umanità salveranno il mercato dalla crisi finanziaria



Due anni fa usciva “L'economia giusta”, il saggio postumo di Edmondo Berselli nel quale il politologo emiliano prematuramente scomparso analizza la genesi dell'attuale crisi. Mostrando ancora una volta la lucidità che ha caratterizzato il suo lavoro, Berselli nega che il mercato, da solo, possa risolvere i problemi. E aggiunge che bisogna fare una sintesi tra il modello dell'economia sociale e le proposte avanzate dalla Chiesa. Con la consapevolezza, sottolinea, che occorre mettere da parte l'idea della crescita intesa quale sinonimo di sviluppo e benessere. «Dovremo adattarci ad avere meno risorse – scrive -. Meno soldi in tasca. Essere più poveri. Ecco la parola maledetta: povertà. Ma dovremo farci l'abitudine. Se il mondo occidentale andrà più piano, anche noi dovremo rallentare. Proviamoci, con un po' di storia alle spalle, con un po' di intelligenza e di umanità davanti». Che cosa pensa dell'analisi e del suggerimento di Berselli?
Arturo Camilli
Roma
Edmondo Berselli è stato per anni collaboratore attento e vivace del Sole 24 Ore e di Radio 24. Ed era sempre disponibile ed efficace nei suoi interventi dove con abilità sapeva dosare pragmatismo e cultura, analisi sociali e valori di fondo. Era un grande appassionato di musica moderna e di sport (come non ricordare quel libro "Il più mancino dei tiri" che tratteggiava con ironia e profondità i grandi del calcio degli anni 90). Nelle sue analisi sociali aveva il grande pregio di non perdere mai di vista l'identità, il valore, l'umanità di ciascuno pur con una elegante ironia che talvolta lasciava il posto ad una velata amarezza.
"L'economia giusta" è un piccolo libro che costituisce un'analisi di profonda attualità, un tentativo di realizzare una grande sintesi tra i valori di fondo della società. Non partendo dalle ideologie, ma riconoscendo che nella persona gli ideali liberali, socialisti, cattolici possono trovare una sempre maggiore valorizzazione. Sul punto che lei cita, quello della povertà, Edmondo ha voluto lanciare una significativa provocazione. È vero, è necessario rendersi conto che per decenni abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi. Il passo indietro tuttavia devono farlo tutti (e i cittadini, le famiglie, le imprese lo stanno facendo con i prezzi che corrono più dei salari, con la perdita dei posti di lavoro e con il carico fiscale tra i più elevati d'Europa), ma deve farlo insieme lo Stato che, attraverso i Governi che si sono succeduti, soprattutto quelli degli ultimi quarant'anni, ha costantemente mantenuto la spesa pubblica ben più alta delle entrate facendo così crescere il debito a carico delle generazioni successive. Ed è ora che i tagli alla spesa pubblica non siano solo risparmi nelle uscite correnti, tagli che spesso si risolvono in una minore efficienza nei servizi, ma siano l'occasione per una revisione del perimetro di intervento dello Stato, se necessario anche con revisioni costituzionali. Alcuni esempi? L'abolizione totale delle Province (e insieme a queste delle prefetture e degli enti collegati) e la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Lo Stato è spesso più un problema che una soluzione. Ma anche il mercato ha tuttavia le sue colpe e, come diceva Berselli, deve ritrovare intelligenza ed umanità.
Leggere sotto l'ombrellone
Fin da ragazzo i libri più belli li ho letti sotto l'ombrellone. Non ero il solo, tant'è che alcuni lidi improvvisavano mini biblioteche. Oggi purtroppo, in spiaggia come altrove, il libro soprattutto tra i giovani, è merce sempre più rara. Credo che una delle cause di questa disaffezione sia la pigrizia. La lettura è pur sempre una piccola fatica non necessaria e non amiamo molto "faticare" senza necessità. E poi, come ha scritto Gianni Rodari «il verbo leggere non sopporta l'imperativo». Peraltro, la tecnologia offre prodotti ben più allettanti e seducenti del caro vecchio libro. Forse si preferirà leggere Dante, Manzoni o Moravia sui tablet? Un sacrilegio, a mio avviso, ma bene! Purché i giovani non perdano contatto con le radici della cultura, a prescindere dal supporto. Temo che gli imput sempre più diversificati che scandiranno la quotidianità lasceranno sempre meno spazio a quei momenti di solitudine propedeutici alla lettura. Forse sono discorsi stantii e impolverati, ma ogni tanto forse è bene rispolverarli, proprio come si fa per un caro vecchio libro.
Michele Massa
Bologna

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