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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2012 alle ore 09:21.

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Parte il campionato dell'austerity. A 40 anni dallo choc petrolifero che impose all'Italia sacrifici e un ridimensionamento del tenore di vita, questo termine è entrato a pieno titolo nelle vicende economiche e sportive della serie A, alla prese con un inedito calciomercato di "esportazione".

Lo shopping del Paris Saint Germain dello sceicco Al Thani e della Qatar Investment Authority che a suon di milioni ha strappato all'Italia stelle come Ibra, Thiago Silva e Lavezzi, lasciando la serie A orfana di top player, è il segnale di un'involuzione irreversibile, ma non inattesa.
Lo spread, altro vocabolo della crisi, tra la massima divisione italiana e le altre leghe europee si è andato allargando negli ultimi 15 anni, senza che i padroni dei club italiani abbiano saputo adottare contromisure. Prendiamo il confronto tra serie A, Premier league, il torneo con il giro d'affari più ampio, e Bundesliga, il campionato più in ascesa dal punto di vista finanziario e quello in cui le società hanno i conti messi meglio.
Se nel 1997 il valore commerciale del campionato d'Oltremanica era di 685 milioni di euro e quello della Serie A di 551 milioni, con uno scarto di appena il 20%, questo gap è raddoppiato.

Il fatturato della Premier al termine della stagione 2011/2012 ha superato quota 2,5 miliardi, il campionato italiano è fermo a quota 1,6 miliardi ("spread" del 37%). Il differenziale tra i due tornei ha iniziato a crescere fin dagli anni Duemila. Il dislivello più accentuato, pari al 53%, è stato raggiunto nel 2006/2007 quando gli inglesi hanno registrato introiti di 2,2 miliardi e i club italiani hanno dovuto accontentarsi di entrate di poco superiori al miliardo.
Negli ultimi cinque anni, la Premier ha incassato dalla vendita dei diritti tv 5,8 miliardi a fronte di contratti che hanno garantito alla serie A 4,2 miliardi. Nello stesso periodo, se la Premier ha ottenuto da sponsor e merchandising 2,8 miliardi, la A non è andata oltre 1,8 miliardi. Più soddisfazioni, le società inglesi le hanno avute dal botteghino: 3,5 miliardi contro 1 miliardo italiano. Le entrate della Premier nell'ultimo quinquennio hanno oltrepassato la soglia dei 12 miliardi di euro, quelle della serie A hanno sfiorato i 7 miliardi.

Dopo gli anni bui degli hooligans e dell'esclusione dalle coppe europee, club e governo inglesi sono stati capaci di ricostruire, a partire dagli stadi, un modello di business capace di attrarre investimenti dall'estero, di essere "venduto" ovunque e di generare utili. Sommando gli esiti delle gestioni dei team impegnati nelle due competizioni – fra il 2000/2001 e il 2010/2011 – la Premier League ha prodotto utili per circa 1,7 miliardi di euro. Negli stessi dieci anni, la serie A ha accumulando un deficit di 1,9 miliardi.
Con Calciopoli che ha affossato la Juventus e i default che si sono succeduti nei primi anni Duemila, la serie A ha iniziato a perdere terreno anche rispetto a Liga spagnola e Bundesliga.

Nel primo caso, il sorpasso si spiega principalmente con le performance di Real Madrid e Barcellona (mentre sei club della Liga si trovano in amministrazione controllata), che hanno raggiunto la vetta del calcio europeo con un fatturato nel 2011 di 479 e 450 milioni. I due top club iberici pagheranno lo scotto della crisi bancaria spagnola, ma non nei termini di un rapido declino visto l'invidiabile cash flow generato dai diritti tv (180 milioni a testa, venduti individualmente), dal botteghino, (123 milioni e 110) e dal settore commerciale (172 e 156 milioni).
Il benchmark del calcio europeo è rappresentato dal campionato tedesco, rivoluzionato e arricchito dalle infrastruttre costruite per il Mondiale 2006. I club tedeschi producono il secondo fatturato tra le leghe europee (1,7 miliardi), ma hanno vincoli di bilancio molto rigidi (dal basso livello di indebitamento a un rapporto ingaggi/fatturato intorno al 50%), i quali – come certifica Deloitte – fanno sì che la Bundesliga sia il campionato più redditizio d'Europa, con un incremento dei profitti operativi tra il 2010 e il 2011 da 138 a 171 milioni. Un modello che la serie A stenta a seguire.

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