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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 15:12.
L'ultima modifica è del 02 settembre 2012 alle ore 15:13.

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La grave crisi economica provocata dal capitalismo finanziario ha prodotto altre crisi nelle democrazie occidentali, tra le quali una nuova sta ora prepotentemente emergendo: la crisi del diritto.

Il potere economico e quello politico sono andati disgregandosi in reti, corporazioni e meccanismi di autoregolazione parziale, che impediscono un'unità di decisione e di regole omnicomprensive. I nuovi poteri che reggono l'economia finanziaria globalizzata sono difficilmente individuabili; ognuno di loro però si ritiene al di sopra di ogni regola, anzi produttore esso stesso di regole cogenti. La sovranità degli Stati nazione ha dunque abdicato e lo "Stato di diritto" si è trasformato in uno "Stato dell'economia".

A un'economia globalizzata, facilitata da una tecnologia sempre più vorticosamente veloce, non è corrisposta una nuova lex mercatoria, come era avvenuto nell'antica globalizzazione. Attualmente, con qualche eccezione soprattutto a livello internazionale e della Comunità Europea, alla tutela normativa dei diritti si è sostituita la disciplina dei contratti, che rendono evidentemente più agevoli gli scambi economici, ma altresì possibile il fiorire di sempre nuovi mercati economici e finanziari, assolutamente indipendenti e incontrollati.

La ricaduta dei loro conflitti a livello degli Stati nazionali ha depotenziato la sovranità politica, svuotato il diritto degli Stati che, sempre più eterodiretti dai poteri economici, conservano autonomie giurisdizionali, ancora decisive soprattutto in alcuni settori, e assai capaci di coltivare la comunicazione mediatica, senza tener conto che i loro rituali producono effetti che a volte sono profondamente ingiusti, qualora non siano condivisi da principi e regole della "sapienza civile", accettati dalla comunità.
È facile concludere su questo punto che in nessun Paese può esistere una giustizia giusta se manca una politica giusta.

La delegittimazione della politica e l'abdicazione della sovranità da parte degli Stati comporta soltanto una spietata quanto improduttiva concorrenza fra le giurisdizioni locali che, benché ultimo brandello di quella sovranità, sono tuttavia incapaci di assicurare certezza del diritto al mondo globalizzato dell'economia.

L'esempio più clamoroso sta proprio nell'attuale controversia fra i due gruppi che si contendono la posizione di eccellenza nel dominio tecnologico dell'era moderna. Mi riferisco alla vicenda della Apple (la mitica società americana fondata da Steve Jobs) e della Samsung, società sudcoreana condannata il 24 agosto dalla giuria della District Court della California (San Jose Division) a pagare più di un miliardo di dollari di danni alla stessa Apple per averne violato i brevetti, che proteggevano i diritti di proprietà intellettuale, riguardanti sia il design sia la tecnologia degli iPhone, iPod e iPad. Nel ricorso presentato dalla Apple si sottolineava che la famiglia dei prodotti introdotta dalla Samsung nel 2010 e denominata "Galaxy", per la forma e il modo di uso, con semplici movimenti delle dita, veniva addirittura confusa con i suoi prodotti. Si è allora scatenata quella che Steve Jobs aveva promesso sarebbe stata una «guerra termo-nucleare» quando vide che i prodotti Apple venivano sistematicamente copiati. La società californiana aveva inoltre citato nel 2011 per le stesse ragioni la Samsung chiedendo un risarcimento di danni per circa un miliardo e duecento milioni di dollari davanti al Tribunale di Tokio. Il giudice distrettuale di quel Tribunale il 31 agosto ha, al contrario della giuria californiana, dichiarato che nella produzione dei modelli Galaxy non vi è stata alcuna violazione dei brevetti Apple. La guerra per il controllo dell'enorme mercato degli Smartphone e dell'orizzonte della società dell'informazione mondiale sta continuando in quattro continenti.

Dalla moderna rivoluzione digitale è giunto l'ultimo attacco a uno dei diritti fondamentali del liberalismo democratico, cioè quello della "proprietà intellettuale". È significativo che ciò avvenga proprio in questo settore, dove l'economia globalizzata tende alla riduzione di tutti i beni in beni immateriali, nella cui trasformazione è considerato l'inizio dell'attuale crisi, in modo particolare con lo scoppio della bolla dei sub prime mortgages.

Un'identica conflittualità che riguarda ancora la deriva tecnologica della modernità concerne le ben note vicende di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, che vede in concorrenza ben quattro Stati, gli Stati Uniti, l'Inghilterra, la Svezia e l'Ecuador, nella cui ambasciata gli è stato concesso il diritto di asilo.

Eppure in Europa, la lotta per il diritto basata sulla fondazione di un pluralismo, di una laica eticità civile nel rispetto dei diritti umani, ancora in mancanza di un popolo e di una nazione europei, è stata affidata alla Corte di Giustizia di Strasburgo. Proprio quest'ultima ha ora bocciato la legge italiana 40 del 2004 sulla fecondazione assistita, la quale non consente la diagnosi pre impianto degli embrioni ai portatori di malattie genetiche. Dopo un intervento del Cardinale Bagnasco, che ha bollato la sentenza della Corte come un illegittimo superamento della magistratura italiana, il ministro Balduzzi ha dichiarato che probabilmente il Governo italiano proporrà ricorso. Non affronto, ovviamente, nel merito il tema, che esige ben altri approfondimenti, nel doveroso rispetto della diversità di opinioni e di fedi che riguardano l'origine della vita, ma mi limito ad una considerazione di legittimità. L'atteggiamento dell'esecutivo in tal caso parrebbe assai singolare: eterodiretto dall'Europa sui programmi economici, contrario però all'Europa sui diritti umani.

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