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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2012 alle ore 10:38.

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Il potere, diceva il generale De Gaulle, «non si cerca, si raccoglie». In altre parole, non bisogna accanirsi ad inseguirlo, bensì creare le condizioni perchè altri te lo offrano. S'intende che poi, nella pratica, non succede quasi mai. Si dice che lo stesso De Gaulle, nel suo eremo di Colombey-les-Deux-Eglises, fosse tutt'altro che distaccato dagli eventi che si svolgevano a Parigi, dove agiva una sua «quinta colonna».

Il generale attendeva impaziente la chiamata. Che infine arrivò e nacque la Quinta Repubblica.
Mario Monti sembra invece aver scelto di restare fedele alla lettera, oltre che alla sostanza, della massima gollista. Non cerca la permanenza nell'incarico e addirittura non perde occasione per declinare le sollecitazioni di quanti lo vorrebbero alla guida del governo all'inizio della prossima legislatura (il cosiddetto Monti-bis). Ieri a Bari ha parlato di «inviti non ricevibili» con il suo solito tono cortese ma in apparenza definitivo. Si sta così creando un paradosso che merita una certa attenzione.
Da un lato ci sono coloro che vogliono Monti a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni e ritengono ad alto rischio un governo guidato da uno o l'altro dei capi tradizionali della nostra politica, il cui stato di salute è sotto gli occhi di tutti. Un sondaggio di "Radiocor" diffuso in coincidenza con le giornate di Cernobbio offre risultati inconfutabili: più dell'80 per cento degli interpellati vuole il Monti-bis. Si tratta dei nomi più importanti dell'economia, dell'imprenditoria, del mondo finanziario.

Dall'altro lato ci sono i partiti che seguono il loro schema fisso, abbastanza impermeabili alle circostanze di fatto. Soprattutto il centrosinistra, inteso come alleanza fra Pd e Vendola, sembra marciare sicuro verso la vittoria nelle urne e l'immediata sostituzione di Monti. Almeno questa è la posizione ufficiale di Bersani e del gruppo di vertice a lui vicino: come è noto, un altro futuro alleato, Casini, segue una linea ben diversa e semmai si propone di interpretare lo stato d'animo e le inquietudini di imprenditori e operatori economici.
Questa frattura fra il mondo produttivo e la società politica non è una novità, ma stavolta è in gioco il destino del paese nei prossimi due-tre anni. Certo, come dice Prodi, «non decide la finanza ma il voto degli italiani». E tuttavia la logica vorrebbe che i partiti si rendessero conto della realtà e si preparassero a consolidare ciò che di buono è stato fatto fino a oggi, accompagnando al rigore della spesa pubblica nuovi e coraggiosi stimoli all'economia: dal governo "tecnico" al governo politico, con una chiara maggioranza magari allargata, ma senza tradire la lezione di Monti.

In realtà nessuno sa oggi con certezza cosa accadrà all'indomani delle elezioni e quali rapporti di forza si creeranno nel prossimo Parlamento. Al momento si può solo cogliere questa spinta verso il Monti-bis che sale dal paese e che finirà per imporre il tema al centro della campagna elettorale. È pur vero che in condizioni normali il diretto interessato dovrebbe dare un segnale di disponibilità, se non proprio mettersi alla testa di un "rassemblement" politico e civile. Infatti esiste o si sta costituendo un informale «partito di Monti», ma il suo leader naturale non fa nulla, o quasi nulla, per incoraggiare i seguaci. «Il potere non si cerca...».

Anche questo atteggiamento, dettato dalla volontà di non disturbare i giochi politici dei partiti dando l'impressione di tagliar loro la strada, non è esente da pericoli. Fa di Monti una tipica «riserva della Repubblica», ma solo nel caso in cui il voto determini una sorta di equilibrio delle impotenze e al tempo stesso imponga il buon senso di una scelta nell'interesse nazionale. Può succedere, ma non è così scontato: i precedenti nel mondo sono pochi. In quel caso, se volesse, Monti potrebbe «raccogliere» il potere, senza eccessivi condizionamenti. Ma di qui ad allora il paradosso italiano è destinato ad approfondirsi.

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