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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2012 alle ore 07:52.

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«Il mondo ci ha guardato con ammirazione, non più con commozione». È dell'ex pilota di Formula uno, Alex Zanardi, l'immaginaria didascalia da collocare sotto un'istantanea che sfuma. Sulle note dei Coldplay e di Rihanna si sono chiuse domenica le Paralimpiadi, atto finale della season di Londra 2012. Stretti nel cuore di luce che occupava lo stadio, gli atleti disabili hanno assistito al tributo di un Paese intero.

Quello che si è levato dagli spalti, quello che è rimbalzato fra milioni di tv sintonizzate non solo per le cerimonie di apertura e chiusura, ma anche per le gare di nuoto di nani o per le partite di rugbisti in carrozzina, volendo ricordare performance estreme.
Mai prima d'ora le Paralimpiadi avevano ottenuto tanto seguito, relegate, come apparivano, a epifenomeno di manifestazioni chiamate a mettere in scena esempi di plastica perfezione. Un commentatore acuto come Jonathan Freeland ne contesta la definizione. Quel "para" va cassato, con tutta l'intonazione minore che porta con sè, e sostituito con "ultra". Ultra-atleti «antidoto alla visione olimpica di Leni Riefenstahl, cultrice del corpo ideale che si vide nel 1936 a Berlino», ha sostenuto Freeland. Evoluzione dell'uomo e della percezione che offre di sè impegnato non in una competizione minore, ma in una tenzone che è spesso molto più intensa di quella tradizionale.

Era facile sospettarlo, intendiamoci, ma era indispensabile renderlo evidente per far sì che la «commozione si facesse ammirazione» per restare con l'efficace immagine di Alex. La legacy di Londra 2012, la vera eredità di questa straordinaria estate sportiva, è proprio questa. La centralità assunta dalle competizioni dei disabili, la capacità che hanno dimostrato di farsi spettacolo puro annichilisce qualsiasi altra considerazione sul ritorno economico per l'East end di Londra, sul risanamento di quartieri depressi, sull'incerto impatto a beneficio dei consumi. Un mese e mezzo dopo il via ai Giochi è caduto il velo del sospetto, travolto dal godimento per la competizione imperfetta. Apprezzata da un pubblico in tumultuoso aumento. Due milioni settecentomila persone hanno acquistato il pass per le gare Paralimpiche di Londra, sono stati cioè venduti 900mila biglietti in più di Pechino 2008, bruciando ogni ipotesi di incasso immaginata dagli organizzatori britannici. Quasi venti milioni di telespettatori inglesi hanno visto le cerimonie in tivù e soprattutto migliaia di volontari hanno trascorso le ferie per rendere tutto ciò possibile.

Si è soffermato a lungo sul concetto Seb Coe, l'ex atleta divenuto Lord che ha pilotato Londra 2012 verso un incontestabile successo. E lo ha fatto citando i primati, ma soprattutto, una volta di più, le conseguenze di quanto è accaduto nella capitale britannica in questi ultimi giorni dove «le Paralimpiadi hanno dissolto la nuvola del limite». Il limite del gesto atletico interpretato da saltatori con una gamba sola, ma anche il limite della (in)visibilità sociale. «In questo Paese non penseremo più allo sport nello stesso modo e non considereremo più i disabili nello stesso modo», ha insistito Seb Coe. Una svolta attesa in un mondo - quello britannico - dove il portatore di handicap appare introvabile sui posti di lavoro o nelle scuole non speciali. Una svolta destinata a tracciare un percorso nuovo per il resto del mondo. L'aver «dissolto la nuvola del limite» non consente più alcun ripensamento, ma lascia una sconfinata "ammirazione" e una ragionevole certezza: da Londra 2012 non si tornerà più indietro.

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