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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2012 alle ore 08:13.

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Questo Islam politico dai tre volti è una semplificazione, non esclude che possano farsi strada i laici e ci siano anche tra i partiti religiosi, come il tunisino Ennhada, sfumature importanti. Mentre a Bengasi portavano via il cadavere dell'ambasciatore Christopher Stevens, a Tripoli il Parlamento libico eleggeva come nuovo primo ministro, Abushagur, che prevaleva sia sul favorito Jibril, un laico, che sul candidato dei Fratelli Musulmani.
Le differenze tra questi volti dell'islam politico possono essere nette ma c'è un equivoco di fondo che tentava di spiegare anni fa un grande studioso come Alessandro Bausani. «Per l'islam la religione è qualche cosa che abbraccia sia la fede che la politica, è regola di vita, legge». Questo non impedisce che dozzine di teologi musulmani abbiano lottato per affermare una visione diversa, dove l'interpretazione del Corano prevalga sul dogma e l'ortodossia.

I più ottimisti negli anni Ottanta pensavano che l'islam politico fosse il tentativo da parte del Sud del mondo, debole ed emarginato, di fare sentire la propria voce nei confronti del Nord opulento e aggressivo. Alla domanda quanto sarebbe durato l'islam politico e integralista, Maxime Rodinson, professore emerito della Sorbona, rispondeva: «Non molto, credo 30-40 anni, un battito di ciglia nella storia dell'umanità».
Ma i più realisti sottolineano da tempo che le società dei Paesi musulmani sono largamente islamiche, nel solco più conservatore e tradizionalista. Dalla disgregazione e dalla caduta dei miti socialisti come Nasser in Egitto e dei regimi militari rivoluzionari - Algeria, Siria, Libia, Iraq - è in corso da oltre tre decenni un processo di diffusa e profonda islamizzazione, favorita dalla frustrazione che derivava da governi autoritari e polizieschi, da noi spesso considerati "moderati".
Questa islamizzazione adesso riguarda anche l'Occidente. Non tanto per l'importante presenza delle minoranze musulmane nelle società europee, quanto per l'alleanza sempre più stretta con le monarchie petrolifere del Golfo che sostengono i movimenti islamici nel mondo arabo. Sono regimi anche loro illiberali che però investono in Occidente e finanziano i gruppi della guerriglia e dell'opposizione della primavera araba tra cui crediamo di potere scegliere, con una certa protervia, tra musulmani buoni e cattivi. Vogliano essere ottimisti?

Speriamo in una "via islamica alla democrazia" ma non illudiamoci che possa corrispondere ai criteri occidentali. Forse accadrà tra 30-40 anni, magari anche meno, un battito di ciglia nella storia, un'eternità in politica.

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