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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2012 alle ore 11:00.

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Può esplodere una crisi inarrestabile per un film osceno su Maometto di un oscuro produttore californiano? Uno sguardo alla mappa delle proteste islamiche, violente e non violente, è sconcertante: si va dalla Nigeria alla Mauritania, dal Marocco alla Tunisia.

Dalla Libia al Cairo, dal Sudan allo Yemen, dal Sinai a Gaza, da Baghdad a Teheran, dall'India al Bangladesh, da Kuala Lumpur a Giakarta. È stato scoperchiato un vaso di Pandora: il mondo conta oggi oltre un miliardo di musulmani con un'estensione su un terzo del globo. Certo in piazza scendono spesso soltanto le minoranze più estremiste come i salafiti ma non c'è dubbio che siamo di fronte a una delle manifestazioni più imponenti sollevate dalla rabbia dei musulmani. In uno dei suoi ultimi libri il filosofo egiziano Hasan Hanafi, autorevole intellettuale del Novecento arabo, sostiene che l'Islam contemporaneo è ancora vivo perché è l'unico sistema che non si è ancora arreso alla visione del mondo dominante imposta dall'Occidente e dagli Stati Uniti.

La religione è diventata in questi decenni il rifugio delle frange antagoniste al potere ma anche di larga parte della società civile del mondo arabo-musulmano tenuta ai margini da regimi autoritari. «La pratica religiosa quotidiana, dall'andare in moschea al portare il velo, soddisfa l'identità e l'orgoglio - afferma lo scrittore Tahar Ben Jelloun - mentre le dittature avevano imposto una cultura laica che contrastava con la tradizione».

Gli islamisti intendono la laicità non come una separazione tra stato e religione ma come una negazione della fede. Questo, insieme ai cronici problemi economici e sociali, determina una rabbia diffusa di fronte a un attacco alla religione: anche la distinzione tra quanto fa un individuo e il gruppo non esiste. È la rivoluzione del 1789 che ha permesso ai cittadini francesi (e a tutti noi) di diventare individui dotati di diritti e di doveri. Nel mondo arabo ciò che viene riconosciuto è il clan, politico, religioso, sociale, la tribù, la famiglia, non la singola persona.

Il problema nuovo è che con la primavera araba, attraverso i partiti dei Fratelli Musulmani in Egitto e Tunisia, l'islam è salito al potere. Nell'affrontare la piazza scatenata contro le ambasciate Usa questi nuovi regimi non possono permettersi di somigliare troppo a quelli vecchi. Sono più vulnerabili non soltanto sotto il profilo della sicurezza ma anche politico e morale. Allo stesso tempo devono dimostrasi forti e autorevoli. Gli americani sono costretti a intervenire dosando attentamente le pressioni politiche e militari. Forse può essere tollerata una missione mirata in Cirenaica che verrebbe percepita come una vendetta per l'uccisione dell'ambasciatore Chris Stevens. La tribù americana può spargere il sangue di chi ha eliminato Stevens ma la tribù degli islamisti reclama a sua volta la testa del produttore del film, che naturalmente non avrà mai. È da questa logica da duello rusticano su scala planetaria che deve sottrarsi Obama, pressato dai sondaggi elettorali. Ma sul fondo del vaso di Pandora, dopo tutti i mali del mondo, la speranza esce per ultima.

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