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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2012 alle ore 08:00.

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L'autunno si presenta nella mia terra con un'aria sorniona e pacifica: venti forti spazzano il mare della Liguria di Levante. Il sole, pigro ma ancora caldo, fa capolino tra nuvole candide e gonfie che corrono veloci. Eppure la mia gente ha imparato da secoli quanto, dietro a quella facciata serafica, ogni stagione intermedia sia capace di riservare spiacevoli sorprese.

Senza soffermarci a riesumare archivi dove troveremo, come sempre accade, la stagione più inclemente degli ultimi seimila anni, ci limiteremo a riportare alla mente ciò che capitò alla fine dello scorso ottobre: le Cinque Terre vennero spazzate via da una furia d'acqua senza precedenti. E cito le Cinque Terre per accendere la memoria in chi sta leggendo.
Tralascio i paesi dell'entroterra e della valle della Magra nei quali non è rimasto in piedi neppure un segnale stradale. Per inciso, oggi, sarebbe opportuno fare verifiche sulla puntualità delle promesse spergiurate "a caldo": Vernazza e Riomaggiore sono rinate grazie alla forza della propria gente e all'amore del mondo intero. Località meno blasonate come Borghetto, Brugnato, Calice, la Lunigiana e mille altre ancora sperano che lo Stato eroghi quanto ha promesso. Ma non è tempo di polemiche, avrebbe detto il Marcantonio shakespeariano. Torniamo ai fatti. Per chi non la conosce (ma penso siano pochi, dato che si tratta di uno dei luoghi più visitati d'Italia, d'Europa e, forse, del mondo), la Via dell'Amore è una strada pedonale a picco sul mare che congiunge Riomaggiore a Manarola, alle Cinque Terre.

Ho sempre pensato che si chiami così perché in quel tratto relativamente breve (quasi un chilometro) la scatenata bellezza della natura è talmente prepotente da mozzare il fiato. E, credetemi, lo dico senza alcuna nota di campanilismo. Oggi, a rimirare un mare gonfio e scuro, era un gruppo di turisti australiani: si stavano riempiendo l'anima del senso schopenaueriano del sublime che regala la mirabile Natura. Il solo sentimento, secondo il filosofo di Danzica, capace di elevare dalle angosce quotidiane.
All'improvviso i turisti australiani si sono accorti di aver circumnavigato il mappamondo per ritrovarsi a rischiare la pelle. E nessuna visione sublime può valere tanto: dalla montagna sovrastante si sono staccate tonnellate di massi. Alcuni di più di due metri di diametro. Quattro signore australiane sono state travolte dall'ennesima furia di una natura ribelle. Una di queste si è ritrovata in bilico su un terrazzamento. Sotto di lei un orrido di una cinquantina di metri, incorniciato dal mare verde smeraldo spruzzato di schiuma. Per fortuna gli eroi di quelle terre aspre e difficili non si sono persi d'animo: avevano ancora nelle nari la melma dell'alluvione che odora di morte. Le signore australiane sono state soccorse con salvataggi al limite del possibile.

Per fortuna, mentre sto scrivendo, arriva la notizia che soltanto una delle turiste versi in gravi condizioni. Poteva finire peggio, se questo possa mai servire da consolazione. Adesso, come sempre, inizieranno le polemiche: si sarebbe potuto, avrebbero dovuto, sarebbe stato opportuno. E nei talk show di grido si alterneranno geologi con la piccozza e piccozze che mai hanno scalato una parete per raccontarci che cosa si poteva fare per evitare la tragedia. Alla loro reprimenda saranno dedicati i titoli dei telegiornali del mondo intero. Poco si dirà degli eroi silenti che, a sbalzo sul vuoto, la tragedia l'hanno evitata per davvero. Si parla sempre poco della bella gente. Alle polemiche sterili spero che qualcuno contrapporrà i fatti e indicherà le reti di protezione divelte, quelle stesse che osserviamo fiduciosi mentre attraversiamo un paesaggio dolomitico: ci vuole solo un cielo davvero avverso per scardinare certe sicurezze. Lo stesso cielo scuro come la notte che ha cercato di spazzare via un angolo di paradiso, patrimonio dell'Umanità. Ma, ancora una volta, passerà l'autunno…

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