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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2012 alle ore 07:30.

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Oggi assisteremo ad un nuovo “Caso Guareschi”, il creatore della saga di Peppone e don Camillo condannato nel '54 a tredici mesi di carcere per aver pubblicato sul suo giornale documenti compromettenti su Alcide De Gasperi? Ce lo dirà la Cassazione, chiamata a decidere se il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, si meriti la pena a 14 mesi di galera disposta in appello dal tribunale di Milano.

Il reato è quello di omesso controllo e diffamazione aggravata a mezzo stampa: su Libero, quando ne era il direttore, nel 2007, comparve un commento firmato Dreyfus polemico (ma senza ingiurie o travisamento dei fatti) sulle scelte di un giudice in un caso di autorizzazione all'aborto di una tredicenne. Sallusti rifiuta ogni transazione privata con il magistrato che lo ha querelato perché ritiene che la Cassazione debba valutare una volta per tutte se è legittimo da parte di un tribunale mandare in galera i cittadini per reati di opinione. La condanna, se confermata, confligge con il senso comune, anche solo per il fatto che chi la subirà non è l'autore del pezzo incriminato. La stampa ha tante colpe, ma non quella di meritarsi il carcere per aver espresso un'opinione. Occorre intervenire sulle norme che permettono questi eccessi; sarebbe anche l'occasione per eliminare il sospetto che questi processi assumano sempre un carattere esemplare quando anche il diffamato è un po' speciale. Magari, come ha proposto qualcuno, anche per evitare la sola ombra di “conflitto di interessi” delle toghe, si potrebbe pensare a regole e procedure inattaccabili.

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