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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2012 alle ore 08:02.

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«Mi dichiarai comunista e il mio professore, a Berlino, decise di farmi qualche domanda. Poi concluse. "Non sai di cosa stai parlando, vai in libreria e documentati". Andai e trovai il Manifesto, cominciò tutto allora...».

Lo storico britannico Eric Hobsbawm, morto ieri a 95 anni, ha ricordato così, pochi mesi fa alla Bbc, sia l'emergere di una caratteristica che diverrà metodo di vita, sia l'insinuarsi di una convinzione ideologica che non ha mai del tutto rigettato, nonostante le dissociazioni - dolorose per un assertore del centralismo democratico - dalla storia sovietica. Prese le distanze dai fatti d'Ungheria, dall'invasione della Cecoslovacchia, si fece eurocomunista - celebre la sua intervista al presidente Giorgio Napolitano raccolta nel volume "The italian road to socialism" - ma ha sempre saputo resistere alle critiche di chi voleva ripudiasse quella scelta fatta in calzoni corti, scolpita poi in una vita di studi. Quanto alla caratteristica, l'ha innalzata a guida esistenziale, confessando a sua figlia Julia che ai nipoti augura solo di «essere curiosi, perché la curiosità è la più straordinaria dote che si possa avere».

Anche per questo, crediamo, Eric Hobsbawm, ha collezionato oltre alle critiche per la feroce resistenza a convinzioni strapazzate dalla storia, il plauso trasversale. Recente quello di Niall Ferguson, storico a cavallo fra Scozia e Stati Uniti, mosso da controversa passione per l'economia e celebre per la polemica mai sopita con Paul Krugman. Lontano da ogni infatuazione marxista, Ferguson, ha reso omaggio a Eric Hobsbawm ricordando che la sua opera in quattro parti culminata con il Secolo Breve (The age of extremes) «è in assoluto il miglior punto di partenza per chiunque abbia desiderio di studiare la storia moderna e contemporanea». Più datato il riconoscimento che gli seppe tributare anche Isaiah Berlin, nonostante il severo giudizio per le scelte ideologiche cullate da Eric Hobsbawm.

Che la storia fosse in lui è scritto nella data di nascita: 1917. E tanto basta per soddisfare una lettura spicciola della frase che si legge nell'autobiografia pubblicata dieci anni fa. «Io appartengo a quel genere di persone secondo cui la rivoluzione d'ottobre ha rappresentato una speranza per il mondo». Ma è appartenuto anche a un altro mondo, quello fatto del drammatico imprinting stampato nell'animo di un bambino ebreo che si trova orfano a 14 anni a Berlino. «Chiunque abbia assistito all' emergere e all'affermarsi di Adolf Hitler non può non sentirsi plasmato politicamente da quell'esperienza. Quel bambino resiste, da qualche parte dentro di me».
Il suo destino non fu l'Unione sovietica, ma Londra grazie allo zio che lo prese in custodia dopo la morte dei genitori. Anzi la sua prima visita nell'Urss dopo la morte di Stalin fu l'inizio di una delusione tanto che pur riaffermando piena fiducia nel movimento «cessai di essere militante». Questo doppio binario, fatto di dubbi che offuscano una convinzione senza arrivare mai a smontarla, lo indusse a confessare pubblicamente non «aver mai cercato di diminuire i fatti raccapriccianti accaduti in Russia».

La vita in Gran Bretagna fu più nel segno dell'accademia che in quello della politica attiva. Cambridge per completare gli studi, Birkbeck college da docente, mentre la sua relazione con il partito laburista seguì il pendolo idelogico che ha scosso l'esistenza dei "socialisti" britannici. Fu indicato come il guru di Neil Kinnock , il leader del partito che fu sistematicamente schiantato dai conservatori di Margaret Thatcher. Con Tony Blair il rapporto fu più complesso. L'ex premier lo fece Companion of Honour uno dei massimi riconoscimenti del Regno Unito, ma il New Labour che pure succhiò linfa dal pensiero dello storico comunista, fu alla fine criticato da Hobsbawm.
Con lui in realtà se ne va un altro nome, meno noto, ma capace di discreta celebrità in Gran Bretagna: Francis Newton critico di musica jazz per il New Statesman e autore di saggi apprezzati. Era uno pseudonimo di Eric Hobsbawm, intellettuale poliedrico con spirito sufficientemente eclettico, nel solco dello stile britannico, per fargli affiancare in "Uncommon people" il profilo di Dizzy Gillespie a quello di Salvatore Giuliano.

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