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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2012 alle ore 08:16.

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La crisi del 2008 ha scoperchiato il vaso di Pandora dei mali della finanza aggressiva e priva di scrupoli. E oggi quei “mostri” continuano a uscire alla luce del sole, uno più spaventoso dell'altro: l'ultimo caso a mostrare i gravi traumi che tuttora lasciano cicatrici profonde tra gli investitori ha interessato JP Morgan.

La procura generale di New York e una task force nazionale hanno deciso di chiedere alla grande banca americana danni per perdite da ben 25,5 miliardi di dollari inflitte agli investitori da cartolarizzazioni spregiudicate e ingannevoli ad opera di Bear Stearns. Ovvero d'un istituto vittima e protagonista di quella crisi, rilevato da JP Morgan al momento del suo crack. Bear Stearns, in breve, aveva venduto «sacchi di m…», per citare le sue esplicite e-mail interne: titoli garantiti da mutui residenziali pur sapendo - o colpevolmente ignorando – che sarebbero finiti in default. Nuove indagini sulla saga della finanza facile e rischiosa non sono mai troppe.

E comportamenti irresponsabili e inadeguati controlli restano in agguato: JP Morgan e le sue recenti perdite sui derivati insegnano. Ma un rischio c'è anche nella nuova campagna legale e va evitato: che, nonostante la promessa della Casa Bianca di usare la task force per scovare «chi ha violato le legge» e «voltare pagina su un'era di irresponsabilità», abbia sapore elettorale. Che assuma toni da crociata politica, veementi quanto effimeri. Nel vaso di Pandora rimase la speranza quale antidoto ai mali del mondo. Nel mondo dell'alta finanza, la speranza è che gli sforzi delle autorità siano condotti con il necessario rigore.

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