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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2012 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2012 alle ore 08:52.

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Albert Einstein, che pure aveva contribuito alla sua formulazione, nutriva dubbi sulla meccanica quantistica e i suoi mirabolanti paradossi. Trovava inaccettabili «le conseguenze e le interpretazioni filosofiche» della bizzarra matematica che regola i fenomeni fisici su scala subatomica: ad esempio, che una singola particella possa occupare contemporaneamente diverse aree nello spazio.

Oggi che la fisica quantistica è accettata e sottoscritta da tutti, al punto che le moderne tecnologie (dal laser al microchip, dal microscopio elettronico alla risonanza magnetica) già sfruttano i suoi effetti, l'umanità può solo aspettarsi di progredire lungo la grandiosa strada dell'infinitamente piccolo. E magari arrivare un giorno a formulare quella Teoria del Tutto, che lo stesso Einstein agognava: l'armonizzazione del Modello Standard che regola il macrocosmo che vediamo, con la meccanica quantistica che regola il microcosmo subatomico e invisibile.

Il premio Nobel per la Fisica assegnato ieri al francese Serge Haroche (Collège de France) e all'americano David Wineland (University of Colorado-Boulder), è il tributo all'ennesima pietra miliare scolpita lungo questo cammino.

I due fisici, sentenzia la motivazione della Reale Accademia delle Scienze di Stoccolma, «con ingegnose soluzioni in laboratorio, sono riusciti a misurare e a controllare stati quantistici molto fragili, che si ritenevano inaccessibili all'osservazione diretta». Eh già, perché le singole particelle subatomiche hanno un brutto vizio: se le separi dal loro ambiente, perdono le strampalate proprietà quantistiche.

Serge Haroche è riuscito a controllare un fotone, facendolo rimbalzare a velocità tumultuosa fra due specchi ravvicinati e super-raffreddati. Poi, introducendo un atomo dentro a questa "trappola", è riuscito a testimoniare la presenza del fotone, senza cambiarne lo stato.

David Wineland – classe 1944, come il collega col quale condivide il premio – ha imboccato un'altra strada. Invece degli specchi ha usato un campo elettromagnetico e, al posto dei fotoni, degli ioni (atomi caricati elettricamente per l'assenza di uno o più elettroni). Grazie alla bassa temperatura e ai fotoni di un laser, Wineland accompagna lo ione nello stato quantistico di "sovrapposizione" (ovvero in due diversi stati contemporanei) in modo da studiarlo.

Il team di Wineland ha già usato il procedimento per costruire un orologio infinitamente più preciso di quelli, a base di cesio, attualmente usati. Ma in prospettiva, le ricadute pratiche di questi esperimenti potrebbero andare al di là degli orologi atomici. I metodi adottati da Haroche e Wineland, aggiunge la Reale Accademia, «hanno permesso di intraprendere i primi passi verso un nuovo tipo di computer superveloce basato sulla fisica quantistica. Il computer quantistico potrebbe cambiare radicalmente la nostra vita in questo secolo, come ha fatto il classico computer nel secolo scorso».

Al posto dei bit, i futuribili supercomputer potrebbero sfoggiare i qubit: i bit quantistici. Se i bit possono avere solo due stati (zero o uno), i qubit possono averne tre: (zero, uno o la sovrapposizione dei due). Le implicazioni computazionali sono enormi.

Ma c'è di più. I qubit possono esibire anche il fenomeno dell'entanglement, dove le particelle subatomiche si influenzano fra loro a distanza. Una sorprendente proprietà quantistica che – lungo il cammino della ricerca scientifica – promette il futuribile teletrasporto quantico, che non teletrasporterà gli uomini come nel serial «Star Trek», ma le informazioni sì. Le telecomunicazioni farebbero un salto da gigante.

La vita di Haroche e Wineland è cambiata ieri mattina, in contemporanea, come a due particelle entangled. Come tanti altri fisici del mondo (chissà quanti?), ieri sognavano a occhi aperti una chiamata dal prefisso +46, quello della Svezia. «Quando l'ho visto apparire sul telefono – ha confessato Haroche – ero nei pressi di una panchina: mi sono messo a sedere prima di rispondere». In barba al genio di Einstein, anche quel telefono cellulare funziona grazie ai prodigiosi paradossi della meccanica quantistica.

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