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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2012 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2012 alle ore 08:49.

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Porre il tema della giustizia a livello europeo è essenziale e in questo quadro le banche hanno un ruolo speciale. Dalle rivelazioni sulle speculazioni e i rischi cercati dalle banche americane ed europee nell'ultimo decennio è emersa l'immagine di un deserto morale abitato da avidità e fallimento. Nel 2008 la crisi finanziaria ha cancellato 11mila miliardi di dollari dal patrimonio delle famiglie americane. L'equivalente del pil di Germania, Italia e Giappone. Le conseguenze in Europa sono forse ancora peggiori. Milioni di posti di lavoro sono andati perduti insieme alla sicurezza del benessere futuro. Un decennio di stagnazione sarà necessario ad assorbire i danni degli eccessi di debito. Singole banche, come la tedesca Hre, hanno ricevuto aiuti finanziari paragonabili a quelli della Grecia. Non sorprende che ci sia indignazione per le pratiche finanziarie che hanno contribuito a ridurre le economie mondiali in questo stato.

La tassa sulle transazioni sarà probabilmente nociva dal punto di vista dell'efficienza economica, ma potrebbe segnalare che per la società i comportamenti opportunistici non sono etici - la tassa per esempio impone un obbligo di informazione e un costo alle transazioni finanziarie ad alta frequenza, condotte in frazioni di secondi - e in tal modo forse avere un effetto di ritorno positivo anche sull'efficienza del sistema.

In Europa d'altronde il tema dell'ingiustizia alla radice della crisi è stato rimosso fin dall'inizio e sostituito da uno schema molto più semplice di contrapposizione tra interessi nazionali. Era molto più rispondente alle consuetudini della democrazia nazionale scaricare sugli altri paesi le responsabilità delle miserie del proprio elettorato anziché far chiarezza sulle responsabilità interne. La speranza europea di sincera convivenza tra popoli rischia in questo modo di andare perduta.

Ma il fallimento del sistema finanziario globale, che già prima del 2008 viveva in media una grave crisi ogni tre anni, ha messo in pericolo non solo la convivenza tra popoli, ma anche un altro pilastro delle democrazie occidentali, l'accettazione del “mercato” in ragione dei due criteri tradizionali: la maggiore libertà di scelta che esso offre e la sua superiorità in termini di aumento del benessere collettivo. Le truffe bancarie hanno rivelato che la libertà era molto asimmetrica e il suo prezzo pagato da contribuenti o clienti ignari. Quanto al benessere, a quattro anni di distanza il mondo fatica a superare la depressione causata dalla crisi. Sfiducia nel mercato e degrado nella convivenza tra popoli sono rischi gravi per la democrazia, che una capacità fiscale comune europea può contribuire a riportare al centro dell'agenda politica e quindi a contrastare.

cbastasin@brookings.edu

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