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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2012 alle ore 09:28.

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Otto von Bismarck disse un giorno, a proposito del problema dello Schleswig-Holstein: «Ci sono solo tre persone al mondo che l'hanno mai capito, e tutte e tre o hanno dimenticato o sono morte". Ma il problema europeo, del quale lo Schleswig-Holstein era solo una piccola parte, non è stato mai dimenticato.

E quanto questo problema fosse grosso ce lo ha ricordato il comitato norvegese che ha assegnato all'Unione europea il Nobel per la pace.
Il problema europeo stava semplicemente nelle guerre fratricide che per secoli sono andate insanguinando il Vecchio continente. I disaccordi che oggi rigano l'Europa sono veri e reali ma, se vogliamo guardare alla Storia con la "S" maiuscola e non alle cronache più o meno misere dell'oggi, ci accorgiamo, con un improvviso stupore che è alla base della provvida assegnazione del Nobel, che non c'è mai stato un periodo di pace così lungo e prospero nella vicenda millenaria dell'Europa. Ancora prima dei tempi del Sacro Romano Impero (che, secondo Voltaire, non era né Sacro né Romano né Impero) e fino alla Seconda guerra mondiale, il Vecchio continente è sempre stato un'arena di conflitti sanguinosi che abbiamo troppo presto dimenticato.

L'attribuzione di questo Nobel illumina di luce radente la "Nuova Europa" che è succeduta alla vecchia, quasi senza che ce ne accorgessimo. É come se considerassimo normale di non dover più guerreggiare. Ma l'invenzione della Comunità europea, poi ribattezzata, con una ridenominazione forse profetica, Unione europea ha spezzato la spirale dei conflitti armati e ha allacciato i Paesi in una stretta maglia di rapporti economici e interscambi culturali che rendono impossibile un ritorno a quell'oscuro passato.
Ci saranno ancora guerre in Europa? Un premio Nobel dell'economia, Martin Feldstein, era arrivato a dire, a proposito della moneta unica, che la creazione dell'euro avrebbe potuto portare a tensioni tali in Europa da sfociare in veri e propri conflitti. E forse alcuni osservatori potrebbero pensare, guardando ai tumulti nelle piazze del Sud-Europa, che Feldstein non era molto lontano dal vero.

Ma il comitato norvegese guarda lontano e ha ragione. Il bicchiere è mezzo pieno, e l'Europa (che progredirà solo grazie alle crisi, come diceva Jean Monnet) sta costruendo nuove condivisioni di sovranità. La nazione tedesca ha molto da farsi perdonare, data la storia passata. Nel capolavoro postumo di Irène Némirovsky, "Suite Française", il tenente Bruno von Falk dice: «Per noi tedeschi, quel che è allo stesso tempo il nostro difetto nazionale e la nostra più grande qualità, è la mancanza di tatto; siamo incapaci di metterci al posto degli altri, li feriamo gratuitamente, ci facciamo odiare, ma questo ci permette di agire con inflessibilità e senza cedimenti». L'inflessibilità tedesca nella difficile temperie che l'Europa oggi attraversa è volta tuttavia a chiedere contropartite di "più Europa", non di dominio egemonico. Nella tela dei secoli questo conta. E un giorno l'Europa si scoprirà ancora più unita.

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