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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2012 alle ore 08:15.

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Dall'inizio della crisi in Europa si sono persi tre milioni di posti nell'industria, con mille miliardi di Pil bruciati. La produzione manifatturiera è, tuttora, inferiore del 10% rispetto al 2007 e, cinque punti sotto rispetto agli anni 90.

L'emorragia d'imprese e lavoro è avvenuta anche per colpa di mancate scelte ed errori legati all'illusione di un'economia che poteva basarsi su finanza e servizi. La realtà è ben diversa. Senza industria si perdono servizi, export, lavoro e capacità d'innovare: dall'industria dipende il 75% dell'export e l'80% dell'innovazione e, per ogni posto nel manifatturiero, se ne creano due nei servizi. Oltre che essenziale per competitività e crescita, l'industria è la sola a poter trovare risposte a invecchiamento e aumento della popolazione, equilibrio dell'ecosistema o scarsità di energia e materie prime. Senza industria, non vi saranno soluzioni tecnologicamente avanzate per la qualità dell'aria o dell'acqua; e non riusciremo a garantire sicurezza e sostenibilità nell'accesso alle risorse.
Come ha giustamente osservato Alberto Quadrio Curzio sul Sole 24 Ore di ieri, all'Europa e ai suoi Stati serve una politica industriale all'altezza di queste sfide formidabili.

Il 10 ottobre la Commissione europea ha adottato la nuova strategia di politica industriale. Il messaggio politico è forte è chiaro: dobbiamo invertire subito la rotta, fermare il declino industriale, con l'obiettivo di passare, entro il 2020, dall'attuale 15,6% di Pil legato al manifatturiero al 20%. Innovazione, formazione e accesso al credito, insieme a politiche commerciali meno ingenue, infrastrutture e, un quadro complessivo più favorevole al business, sono i pilastri alla base della nostra azione.
Tutti i comparti industriali, come le tessere di un mosaico, sono essenziali. Ma avere una strategia significa, prima di tutto, non disperdere risorse in mille rivoli; e, dunque, focalizzarsi su poche priorità.

Per la prima volta la Commissione identifica sei aree ad alta potenzialità, con ricadute trasversali su tutti i settori: manifatturiero avanzato, tecnologie fondamentali abilitanti, biotecnologie, veicoli puliti, edilizia sostenibile e materie prime e reti intelligenti. È qui che vanno concentrati i fondi Ue per l'innovazione industriale, l'azione della Bei, degli Stati e delle Regioni. E per attirare investimenti privati in questi settori, oltre a fondi pubblici che facciano da volano, servirà soprattutto un quadro europeo di regole e standard stabile, prevedibile e intelligente, che non ostacoli l'industria e favorisca competitività e innovazione.
Conterà molto anche la qualità della spesa, con ben in primo piano le ricadute industriali e di competitività. I nostri concorrenti, Usa e Giappone in testa, non solo investono in ricerca più di noi - rispettivamente il 2,6% e 3,4% del Pil a fronte del 3,4% europeo -, ma hanno anche un tipo di spesa più efficace.

Ad esempio, nel settore delle tecnologie abilitanti fondamentali Cina e Usa investono rispettivamente il 90% e 76% in ricerca applicata e sviluppo, a fronte del solo 18% dei fondi Ue.
In generale, tutta l'azione europea dovrà essere coerente con l'impegno assunto a favore della re-industrializzazione, a cominciare dalla politiche per il commercio, la concorrenza, il mercato interno, l'energia o l'ambiente.
Il Nobel attribuito all'Unione Europea è un riconoscimento per la pace e valori consolidati nel nostro continente grazie a sessant'anni d'integrazione. È un'iniezione di fiducia per il cammino intrapreso verso un'Unione più politica, nella prospettiva, un giorno, degli Stati Uniti d'Europa.
Mai come negli ultimi anni l'Unione ha fatto passi avanti. Il vertice di giugno ha aperto la strada verso un vero governo europeo dell'economia e a un'Unione politica con un percorso in quattro tappe: integrazione finanziaria, dei bilanci, delle politiche economiche e rafforzamento della legittimità democratica. A settembre la Commissione ha proposto un sistema di sorveglianza comune affidata alla Bce, primo passo verso l'unione bancaria.

In questo cantiere aperto, è urgente realizzare un vero governo dell'economia, non solo per garantire la disciplina fiscale, ma per assicurare in tutti gli Stati livelli di competitività industriale che consentano la crescita e la stabilità dell'euro. Per questo, la nostra strategia promuove un partenariato tra Stati, Commissione e industria per attuare le azioni indispensabili affinché tutta l'Europa torni a essere un luogo in cui fare industria. Sono lieto del sostegno ricevuto dai ministri dell'industria nel Consiglio dell'11 ottobre e con la lettera dei ministri di Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Romania, Spagna e Portogallo. Così come del riconoscimento arrivato dai rappresentanti delle industrie europee. Questo sostegno è prezioso per continuare il nostro lavoro.
Antonio Tajani è vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l'Industria e l'imprenditoria

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