Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2012 alle ore 16:03.

My24

Questo ci porta al secondo punto. La politica industriale non può rimanere imprigionata dai (pur necessari) interventi urgenti sui tavoli di crisi, a partire dai casi più difficili (come Termini Imerese, Carbosulcis, Alcoa, Ilva ecc.) in cui la mancanza di un serio ricambio imprenditoriale lascia solo intravedere il consueto ricorso a varie forme di Cassa Integrazione e mobilità, anticamera di pericolosi sbocchi nell'economia sommersa anzi che di riconversione su attività manifatturiere o di servizi capaci di valorizzare le notevoli risorse umane e naturali che ancora esistono in quei territori. Per uscire dalla attuale stagnazione della produttività, che ci vede in coda nella classifica europea, occorre incentivare (anche con il lievito di un co-finanziamento pubblico-privato) l'aggregazione delle imprese e dei distretti più virtuosi e vivaci (ce ne sono) intorno a progetti di ricerca e innovazione "pre-competitiva" di un certo respiro: progetti pensati lungo quelle filiere tecnologiche in cui già oggi il paese e molti suoi territori possiedono vantaggi competitivi effettivi e potenziali. Anche in Italia si spendono molte parole su biotecnologie, nanotecnologie, fotonica, meccatronica, sviluppo eco-compatibile, parchi tecnologici, agenda digitale e quant'altro: ma il "sistema nazionale di innovazione" resta incerto e asfittico, rispetto a quanto avviene in Germania con la "HighTech Strategie", in Francia con i "Pôles de compétitivité", nel Regno Unito con i programmi di ricerca collaborativa sorvegliati dal Technology Strategy Board, per non parlare di molti paesi emergenti (non solo la Cina) che stanno facendo progressi impressionanti di diversificazione e avanzamento tecnologico. E la Commissione Ue sulle politiche industriali in Europa 2020 sollecita "piattaforme tecnologiche europee" per restare competitivi.

Infine, la riforma in corso degli enti di ricerca, a partire da Cnr e Università, offre l'occasione per cominciare ad abbattere le barriere di burocrazie e di cultura che da sempre impediscono il formarsi di robusti meccanismi di trasferimento tecnologico dalla ricerca scientifica all'innovazione tecnologica delle imprese (anche qui il modello tedesco ci insegna). Domina ancora in Italia un tendenziale distacco fra centri di eccellenza scientifica (ce ne sono numerosi, a cominciare da alcuni Politecnici e Facoltà di Ingegneria) e il tessuto frammentato di tante piccole e medie imprese, il cui futuro dipende sempre più dalla capacità di innovare processi e prodotti, anche attingendo dalle frontiere della ricerca nei campi più diversi. Occorre qualche regia intelligente e pragmatica per schiodarci dai vizi passati, mantenendo i quali continueremo a restare fanalini di coda in un mondo che avanza.

Shopping24

Dai nostri archivi