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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2012 alle ore 09:35.

Rischia di nascere con un "baco" la sentenza di ieri del tribunale di Milano. A corroderla potrebbero essere le conseguenze della pronuncia della Corte costituzionale che dovrà valutare la fondatezza del conflitto di attribuzioni sollevato dall'allora premier.
Oggetto della contestazione la decisione del primo marzo 2010 dei giudici milanesi con la quale venne rifiutato il rinvio dell'udienza in calendario per quel giorno chiesto dalla difesa Berlusconi. Richiesta di rinvio motivata dal contemporaneo svolgimento di una riunione del Consiglio dei ministri.
Poco più di un anno fa la Consulta ha giudicato ammissibile il conflitto, ma il verdetto nel merito non è ancora arrivato. Se accogliesse le ragioni di Berlusconi, la pronuncia avrebbe effetti tutti da valutare sul procedimento che si è concluso, almeno in primo grado, ieri. Il caso è infatti inedito, visto che i precedenti (pochi) si riferiscono a processi ancora in corso quando è arrivato il responso della Corte costituzionale. La sentenza n. 221 della Consulta, su una vicenda in parte analoga (impedimento istituzionale che rende impossibile la partecipazione dell'imputato al l'udienza), riguardo l'allora parlamentare Cesare Previti. Ma la Corte annullò semplicemente le ordinanze contestate e il processo, allora davanti al Gip, proseguì.
Ora, gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali di Berlusconi, hanno commentato ieri pomeriggio a ridosso della condanna che il mancato stop dei giudici in attesa della sentenza della Consulta potrebbe avere come conseguenza l'annullamento del processo. Troppo, forse. Più probabile, nel caso di giudizio favorevole a Berlusconi, l'annullamento dell'ordinanza del 2010 e l'affidamento alla Corte d'appello, in sede di valutazione dei motivi di impugnazione, delle ripercussioni. Che potrebbero andare da un minimo, annullamento della sola udienza oggetto del conflitto e dei relativi mezzi di prova che vi fossero stati assunti, a un massimo, che comporterebbe l'annullamento del processo.
Di certo la difesa proverà a smontare, appello da presentare entro 15 giorni, anche la ricostruzione fatta dai giudici che hanno attribuito all'ex capo del Governo un ruolo chiave nel reato anche oltre le richieste della pubblica accusa (che aveva sollecitato una condanna a 3 anni e 8 mesi). Se la frode fiscale prevede infatti una pena massima di 6 anni quella di cui, per la sentenza, si è reso colpevole Berlusconi è stata «sistematica» e «di portata eccezionale». E ha visto Berlusconi vero e proprio architetto di un meccanismo criminale che facendo leva su paradisi fiscali e «miriadi» di società satellite ha permesso di realizzare un'ingentissima provvista di fondi neri.
Tutte ragioni che hanno condotto i giudici a non concedere neppure le attenuanti generiche, che potevano anche sembrare scontate, aggravando quindi la posizione di Berlusconi. Con ogni probabilità, almeno in questo caso, non sarà però determinante la prescrizione, visto che per raggiungere un giudizio definitivo ci sarà tempo sino alla fine del 2014, dopo le varie vicissitudini che, nel corso degli anni, hanno condotto alla graduale rideterminazione dei capi d'accusa.
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