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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2012 alle ore 07:00.

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Nelle tonnellate di analisi sul mismatch che caratterizza il nostro mercato del lavoro c'è un filo rosso che lega le posizioni di ogni provenienza - datoriale, sindacale, politica - o coloritura - destra, sinistra. È la necessità di raccordare meglio formazione e impresa rafforzando l'istruzione tecnica. Anni e anni di dibattito hanno evidenziato che in quel 34% di disoccupazione giovanile che oggi il Paese esibisce molto va attribuito al gap tra domanda e offerta in materia di figure tecniche. Alle aziende mancano 100mila unità di questo profilo.

Qualcosa, certo, si è mosso . Negli ultimi 20 anni, la percentuale di diplomati tecnici e professionali assunti è passata dal 12% al 22%. Passi avanti lasciati però alla libera iniziativa, non strutturati in politiche organiche. Le aziende, infatti, chiedono ancora oggi più regìa, formazione migliore, maggiore trasparenza e comunicazione sui profili necessari.
Ecco perché delude quanto sta avvenendo a livello di Governo. Per portare a compimento il taglio del 20% agli organici dirigenziali imposto dalla spending review, il Miur ha infatti individuato nella direzione generale per l'istruzione tecnica una delle poltrone da far saltare. È un controsenso palese, che va a danneggiare quanto di buono proprio sotto questo Governo si è fatto, per esempio approvando in Conferenza Stato Regioni le linee guida per i nuovi poli tecnico-professionali. La "x" che si vuol tracciare sulla direzione generale per l'istruzione tecnica dà al tutto il carattere del passo del gambero. Del fare e disfare. Ci sono ambiti su cui il bisturi non può essere affondato, perché strategici per il futuro. E questo è uno di quelli.

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