Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2012 alle ore 08:38.

My24

«A Milano si sono sempre incrociate tesi forti». Sono state le ultime parole in pubblico di Gae Aulenti, pronunciate il 16 ottobre nel Salone d'Onore della Triennale in occasione della Medaglia d'Oro alla carriera. Parole spezzate dalla fatica dal male che da tempo l'aveva fiaccata, ma nondimeno forti ed essenziali come il carattere roccioso espresso da una fisionomia decisa e anche leggermente imperativa.

Un carattere che l'aveva preservata nella sua forte determinazione, a casa prima (dell'amatissimo padre ricordava: «Avrebbe voluto che fossi un ragazzo. Mi comprava scarpe e calzettoni da uomo»), e poi durante un faticoso apprendistato in un'epoca in cui, ancora più di oggi, alle donne era riservato un ruolo di sfondo, dalla sagace collaboratrice alla fedele segretaria.
Ma lei ha sempre preso le cose con ironia e, naturalmente, tirando diritto per quella strada che si era scelta, andando via di casa, prima a Firenze (per studiare al liceo artistico), poi a Milano per l'università. Nel 1973 in un'intervista a Dacia Maraini ammetteva di non essersi mai sentita discriminata come donna anche quando qualche cliente telefonava per parlare con l'architetto Aulenti e a sentire una voce femminile invariabilmente replicava: «Per favore mi passi suo marito».

Gae (Gaetana) Aulenti era nata nel 1927 a Palazzolo dello Stella (provincia di Udine) da famiglia meridionale: ma fu Milano la sua città d'adozione e d'affezione, il laboratorio culturale e professionale dove matura la convinzione politica sperimentata nella resistenza con l'adesione al Pci e si compie la sua formazione alla facoltà di Architettura del Politecnico, nel cerchio magico che aveva il suo epicentro nel carisma di Ernesto N. Rogers, suo professore all'università e suo direttore negli anni immediatamente successivi alla laurea (1954) alla rivista Casabella. Assieme a lei, esordienti di successo, come Vittorio Gregotti, Giancarlo De Carlo, Aldo Rossi, che fu tra i primi negli anni 70 a sottolineare il carattere fortemente sperimentale del suo approccio all'architettura, dettato da una istintiva ribellione agli armamentari metodologici del razionalismo, obsoleti e ormai palesemente inutilizzabili. Alcuni dei suoi progetti furono pubblicati sulla rivista, ma non apparve mai un suo scritto autografo, come se si limitasse a stare dietro le quinte di una rappresentazione esclusivamente al maschile.

Comincia tuttavia con discreto successo a fare l'architetto: la sua prima opera - la villa milanese di San Siro, 1956 - è ancora ricordata come esempio di quel revival "neoliberty" con cui i giovani prendevano le distanze dall'internazionalismo e si ponevano il problema delle radici ottocentesche della tradizione borghese. Ma si trattava di una fase di passaggio, una depurazione necessaria per arrivare a un'autonomia di pensiero capace di riallacciarsi alle caratteristiche più produttive della via italiana all'avanguardia: quella della contaminazione tra arte e architettura, della curiosità a superare disinvoltamente i confini che il razionalismo dogmatico aveva eretto tra le discipline. L'affermazione di Gae coincide infatti con l'esplosiva serie di case e di allestimenti che caratterizzano la sua straordinaria fortuna a partire dalla metà degli anni 60. Le mostre itineranti dei prodotti e gli showroom Olivetti (a Buenos Aires e a Parigi) innanzitutto, che portavano nell'architettura il senso narrativo della mise en scène e avviarono la sua carriera di ambasciatrice ufficiale del made in Italy nel mondo.

Poi nel 1964 la "rivelazione" del suo talento teatrale: l'allestimento della spettacolare sala della mostra "Il tempo delle vacanze" alla XIII Triennale dove l'invenzione delle figure di Picasso che corrono verso il mare, si moltiplicava nei riflessi delle "bagnanti" coinvolgendo i visitatori in una sorta di gioiosa performance.
Da allora, il suo impegno progettuale si è identificato strettamente al tema dell'allestimento, cui ha saputo conferire la dignità di luogo di incontro tra la cultura della parola e quella dell'immagine: celebre la "sfida" al Guggenheim di Wright con la mostra "The Italian Methamorphosis" del 1994. Ma memorabili anche le tante mostre (da "I Celti" ai "Futuristi") allestite a Palazzo Grassi di cui aveva curato anche la conversione da dimora nobiliare a museo. Fu però la trasformazione della parigina Gare d'Orsay (1980-'86) nel Museo degli Impressionisti a segnare il suo trionfo internazionale, avviando una catena ininterrotta di interventi, dal Museo d'Arte Catalana di Barcellona alle Gallerie della Triennale. A questa teatralizzazione dell'architettura d'interni Gae Aulenti fece corrispondere non a caso la trasformazione in architettura della scena teatrale vera e propria: la collaborazione con Luca Ronconi (tra i tanti spettacoli, indimenticabile nel 1988 lo "Zar Saltan" al Lirico di Milano con l'incredibile scena a ribalta) contribuì a raffinare ed esaltare quella capacità sintetica di abbracciare le arti che ha costituito forse il contributo più singolare e proiettivo di tutta questa sua lunga carriera d'oro.

Shopping24

Dai nostri archivi