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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2012 alle ore 10:07.

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Fu Giorgio Bocca, in un suo libro del 1983, a coniare il termine di «socialfascista», con riferimento a quella venatura di rosso che segnò le origini del movimento mussoliniano e che come un fiume carsico riemerse a Salò. Del "fascismo di sinistra" Pino Rauti fu l'interprete e il leader nel dopoguerra, quando giovanissimo reduce della Rsi aderì alla pattuglia di fondatori del Msi che allora non si definiva di destra.

È scomparso a 86 anni, una vita dedicata all'azione politica, più volte parlamentare. All'inizio aggrappato al neofascismo dei Fasci d'Azione Rivoluzionaria e all'esperienza di Ordine Nuovo pian piano Pino Rauti si distaccò dalle nostalgie affermando di non sentirsi un neofascista perché il fascismo era un «fenomeno storico circoscritto e irripetibile».

Nel '72 fu arrestato e poi scagionato nell'ambito di inchieste legate al terrorismo nero. E se il lungo dopoguerra di Yalta lo colloca nella zona grigia di una destra incerta fra passato e futuro, con troppe esitazioni nel riconoscere le proprie colpe, dalla fine degli anni Settanta, Pino Rauti fu soprattutto un politico-intellettuale che sperimenta il "gramscismo di destra" inteso come un'elaborazione culturale che guarda ai temi sociali e del lavoro.

Diventa l'antagonista rispettoso di Giorgio Almirante di cui critica la politica del "doppiopetto". L'idea di apertura a sinistra viene animata in decine di libri e di iniziative editoriali, attraverso il giornale "Linea" fa conoscere ai giovani di destra le teorie del Nobel Konard Lorenz e la saga di John Ronald Tolkien. Al congresso del Msi dell'87 non riuscì a succedere ad Almirante, sconfitto da Fini. Si prese la rivincita a Rimini, nel '90, diventando segretario per un breve periodo. Nel '95 si oppose alla svolta di Fiuggi che portò alla nascita di Alleanza Nazionale.

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