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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2012 alle ore 13:18.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2012 alle ore 14:21.

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Dal mondo della cultura e dell'economia arriva la richiesta pressante di una politica industriale per il settore dei beni artistici. «Se il Manifesto lanciato a febbraio dal Sole 24 Ore ha «sdoganato il rapporto cultura-economia», come dice il vice ministro Roberto Cecchi, la prima giornata di Florens, la Biennale internazionale dei beni culturali e ambientali, in programma nel capoluogo toscano fino a domenica prossima, certifica due dati di fatto: la cultura è uno straordinario motore di sviluppo (in prospettiva, forse il più potente) e rappresenta un elemento di coesione e d'identità irrinunciabile per ogni società.

«La collaborazione pubblico-privato, in questo campo, è indispensabile e bisogna che la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico torni al centro dell'agenda politica», sottolinea Giovanni Gentile, presidente della Fondazione Florens. «Senza cultura non c'è coscienza di un popolo», aggiunge Jacopo Morelli, leader dei giovani imprenditori di Confindustria. «È il settore del futuro, su cui investire perchè la domanda mondiale va in quella direzione», spiega Luigi Abete, presidente di Civita servizi. «Ma per attrarre risorse private servono le condizioni, fiscali e di governance trasparente, che oggi mancano», puntualizza Lorenzo Bini Smaghi, presidente della Fondazione Palazzo Strozzi.

L'apertura della seconda edizione della Biennale fiorentina ha vissuto intorno alle due tavole rotonde su "governance e valorizzazione del patrimonio culturale", organizzate nel Salone dei Cinquecento dalla Fondazione Florens e dal Sole 24 Ore, in contemporanea ad altri incontri (quello sul cinema e i festival nella Sala dei Dugento), mentre nelle piazze e nei luoghi di culto della città decollavano eventi (ne sono previsti 30), come davanti alla Chiesa di Santa Croce con l'installazione di Mimmo Paladino (che in serata ha tenuto una lactio magistralis) e, soprattutto, come l'ostensione nel Battistero di San Giovanni dei crocifissi lignei di Donatello, Brunelleschi e Michelangelo, il cui confronto ravvicinato (del tutto inedito) offre una lettura privilegiata della storia della scultura religiosa del Quattrocento.

«Le risorse sono importanti, ma un ambiente favorevole allo sviluppo è indispensabile, a cominciare da un minor peso della burocrazia», dice Gentile, che ha fatto gli onori di casa insieme al responsabile dell'inserto cultura del Sole 24 Ore, Armando Massarenti, e al sindaco di Firenze, Matteo Renzi. «Mentre il museo del Louvre firma un accordo da un miliardo di dollari con Abu Dabi, a Firenze non si riesce a completare l'allargamento della Galleria degli Uffizi perchè mancano 27 milioni promessi dal Governo precedente e mai arrivati», sottolinea Renzi. «È il segno di una mancanza di attenzione ingiustificata - aggiunge - e pensare che gli Uffizi sono potenzialmente una macchina da soldi».

La soprintendente del Polo museale fiorentino, Cristina Acidini, considera non corretto il paragone Louvre-Uffizi («Loro hanno una capienza di 40mila persone al giorno, contro le nostre 6mila») e sostiene che il «rapporto pubblico-privato non sia un tabù. Anzi - aggiunge - il sistema italiano è già aperto». Se imprenditori come Ferruccio Ferragamo e Stefano Ricci, confermano l'importanza strategica del rapporto con la cultura (anche manifatturiera) di un territorio e portano esempi positivi di collaborazione con le istituzioni, la questione sollevata a Firenze rimane quella di un cambio di passo da parte della politica, tenuto conto che la cultura vale il 2,3% del Pil nazionale e dà lavoro a 600mila persone», come ricorda il numero uno di Unioncamere Toscana, Vasco Galgani.

Di «scarsa presenza italiana nella produzione creativa» e del rischio di «diventare una periferia culturale entro il 2020», parla l'economista dello Iulm, Pierlugi Sacco. E il presidente di Banca Cr Firenze (gruppo Intesa Sanpaolo), Giuseppe Morbidelli, individua un legame stretto tra «cultura, progresso economico e innovazione». La richiesta di un «cambio di rotta e di un tavolo nazionale sull'industria creativa» arriva anche da Roberto Grossi, presidente di Federculture. Ma il vero segnale lo lancia Cecchi. «Serve una carta delle certezze e una delle opportunità - dice -. È finita l'epoca in cui si doveva solo difendere il patrimonio: oggi occorre valorizzarlo, cominciando a semplificare le procedure. Quello che auspico - aggiunge - è un lavoro di razionalizzazione e di messa in rete delle informazioni». Purchè non resti un libro dei sogni.

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