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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2012 alle ore 15:52.

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Per discutere le esili speranze di tregua a Gaza si sono incontrati al Cairo insieme al presidente egiziano Mohamed Morsi, il primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan, l'emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al Thani e Khaled Meshaal, il capo politico di Hamas, ora residente a Doha dopo avere abbandonato Damasco.

Anche se non risolve i problemi, questo vertice - un effimero successo diplomatico per Hamas - è la sintesi di quanto sia cambiato rapidamente il Medio Oriente per Israele e il rapporto dell'Occidente con la sponda Sud.
Per una coincidenza forse non così accidentale ieri all'Eliseo è stato ricevuto lo sceicco Moaz al-Khatib, capo della nuova coalizione dell'opposizione siriana, ex imam della grande moschea di Damasco con simpatie per i Fratelli Musulmani. Per questo fronte stanno arrivando, giorno dopo giorno, i riconoscimenti di "legittimo rappresentante" del popolo siriano, con un'eco non lontana di quanto accaduto con il Cnt di Bengasi anti-Gheddafi.

Erdogan, capo del partito islamico moderato Akp con fondate ambizioni presidenziali, rappresenta la Turchia, un pilastro da oltre 50 anni della Nato, così impegnata sul fronte siriano che i tedeschi hanno promesso di inviare ad Ankara batterie di missili Patriot. La Turchia è uno dei partner economici più importanti dell'Italia, un alleato storico degli Stati Uniti e da anni un candidato - assai deluso - all'Unione europea. La repubblica secolare turca era anche amica di Tel Aviv ma proprio la questione di Gaza e l'incidente della Mavi Marmara nel 2010 hanno allontanato dagli israeliani il loro unico alleato nella regione, con cui avevano stretto patti militari e di intelligence.

Tutti i convenuti al Cairo sono esponenti dell'Islam politico e legati, più o meno direttamente, alla Fratellanza Musulmana fondata negli anni 30 dall'egiziano Al Banna. Con la fine di Hosni Mubarak nel 2011 è andata in pensione la vecchia guardia del Medio Oriente, quei leader che potevano fare a casa propria quello che volevano in cambio della loro partecipazione all'alleanza con gli occidentali. Mai Mubarak in una crisi come questa avrebbe inviato il suo premier a Gaza, come ha fatto invece Morsi con Hisham Qandil e certamente neppure il tunisino Ben Ali avrebbe spedito il ministro degli Esteri dal premier di Hamas Ismail Haniyeh, come è accaduto ieri con la visita di Rafic Abdessalem.
Morsi, uno dei leader dei Fratelli Musulmani, è il primo presidente scelto dall'Egitto con elezioni democratiche, l'emiro del Qatar è un monarca assoluto ma anche un partner economico di primo piano dell'Occidente - probabilmente anche dell'Italia dopo la visita in Qatar che si prepara a compiere il premier Mario Monti - e un finanziatore delle esangui casse egiziane, oltre che di quelle di Gaza. Doha ospita le truppe Usa e l'emirato è stato uno dei sostenitori con la Nato della campagna contro Gheddafi.

Quando Al-Thani arriva in Europa, dove investe a raffica, viene accolto come un sovrano illuminato: è il grande patron di Al-Jazeera la tv araba che ospita le prediche di Yusuf Qardawi, capo spirituale dei Fratelli Musulmani.
Di Erdogan sappiammo o pensiamo di sapere tutto, magari sono meno note le affiliazioni alla Fratellanza del suo defunto padrino politico, l'ingegnere Necmettin Erbakan: eppure proprio la Turchia di Erdogan, con i suoi brillanti successi economici e gli innegabili progressi sociali, viene indicata da tutti come un modello possibile da seguire per i nuovi regimi mediorientali.

Il vero banco di prova per Israele, a parte l'onnipresente incubo dell'Iran, è proprio questo nuovo Medio Oriente, dove l'ascesa dell'Islam politico ha reso Hamas membro di un network internazionale dinamico molto più forte e resistente dei suoi missili, a scapito anche della leadership palestinese più moderata della Cisgiordania. Se continuerà, la guerra di Gaza questa volta non sarà solo l'ennesimo tragico episodio del male inguaribile che affligge arabi ed ebrei da tre generazioni.

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