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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2012 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2012 alle ore 07:36.

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Nel nostro paese manca una cultura della valutazione. A questa si è sostituita la "cultura" del consenso, talvolta della spartizione. Parleremo qui di Università: molte delle storture nell'articolazione e nel funzionamento del sistema universitario derivano da questa mentalità del distribuire un po' a ciascuno, del proteggere, del non saper premiare.
Oggi il mantra è: Valutazione. Esiste un'idea diffusa che la Valutazione, sia un processo sacrale che individua in modo assoluto il Merito e lo premia. Non è così semplice. La valutazione è efficace per il sistema universitario se serve a determinare lo stato dell'oggetto valutato rispetto a un modello al quale vogliamo si conformi.
Farò quindi riferimento a un processo valutativo in corso dal 2003: l'Academic Ranking of World Universities (ARWU) dell'università Jiao Tong di Shanghai. L'ARWU è basato sulla misura della "produttività" di un ateneo secondo certi parametri quantitativi quali il numero delle pubblicazioni scientifiche su riviste particolarmente prestigiose, dei docenti i cui lavori sono molto citati nella letteratura internazionale, degli allievi che hanno ricevuto il Nobel. Una valutazione "oggettiva", dunque, quanto più produce un ateneo secondo il combinato di questi parametri tanto più alto sarà nella graduatoria mondiale.

Quando è uscita la classifica ARWU per il 2012, i due atenei italiani più in alto nella classifica hanno rilasciato - giustamente - dichiarazioni entusiastiche. Nella classifica per il blocco 101-150 si trovano le Università di Pisa e Roma Sapienza. L'ordine è alfabetico. La classifica è infatti dettagliata da 1 a 100 (nessuna università italiana è tra le prime cento) e poi procede per blocchi ex aequo di 50 atenei prima e di 100 poi. Fermo restando il plauso per i due atenei, notiamo che si tratta di due mega atenei che mettono in campo la quantità di "prodotto" -misurata secondo i parametri ARWU- di circa duemila e mille professori, rispettivamente. Nella graduatoria ARWU 2012 seguono le università di Milano e Padova (blocco 151-200) e quindi (201-300) il Politecnico di Milano, la Scuola Normale Superiore di Pisa e le Università di Bologna, Firenze, e Torino (sempre in ordine alfabetico).

Ai fini del nostro discorso poco importa se condividiamo questa graduatoria, conta il fatto che la stessa Jiao Tong produce sulla base degli stessi parametri una seconda graduatoria che chiama "per capita performance", graduatoria che fornisce l'intensità di produttività dell'ateneo. Questa è ottenuta dividendo gli indici di produttività per il numero dei docenti che questa produzione realizzano. La ratio è chiara: la quantità totale di "prodotti" dell'ateneo va in qualche modo normalizzata alla dimensione dello stesso. Questa nuova graduatoria è molto diversa dalla precedente. Per esempio la Scuola Normale Superiore, il cui numero di docenti è circa un centesimo di quelli dei mega atenei "vincitori" secondo l'altra classifica, naturalmente sale e diviene non solo la prima in Italia, ma la prima in Europa. A livello mondiale risulta quinta superata da 4 atenei americani (Caltech, Harvard, Princeton, MIT). La Normale è seguita, per completare, come è tradizione, nella top ten, dalla école Normale Supérieure, e dalle Università di Berkeley, Cambridge e Stanford (tutto non in ordine alfabetico).

Entrambe le graduatorie sono a loro modo "corrette", sta a noi scegliere su quale basare finanziamenti e scelte di politica della ricerca e della formazione superiore. Questo dipenderà dal modello di sistema universitario che il Paese persegue. Conclusione: non esiste una valutazione neutra. Non esiste la Valutazione.
Siamo quindi a chiederci se esiste un modello di università verso il quale il nostro Paese vuole tendere in modo coerente e stabile nel tempo. Dalla nascita del ministero per l'università (epoca del ministro Ruberti) ai tempi del suo riaccorpamento nel ministero dell'istruzione università e ricerca (oggi retto del Ministro Profumo) sono passati diversi decenni, ma un modello esplicito non è mai stato presentato mentre abbiamo registrato indicazioni e linee di tendenza nettamente contraddittorie. È sempre colpa della politica e ora dei "tecnici"? In realtà il mondo universitario ha precise responsabilità e ora, almeno ora, deve utilizzare i residui margini di autonomia rimasti e deve saper immaginare questo modello.

Ho già avuto modo di delineare su queste pagine la mia personale visione, un sistema di atenei differenziati e specializzati che garantiscano sì la didattica di base secondo i più alti standard in modo diffuso, ma scelgano (autonomamente) i propri settori strategici. Su questi dovranno concentrare le risorse umane e strumentali disponibili per arrivare a fornire ricerca scientifica e formazione fino al livello dottorale e per competere con i migliori atenei internazionali. Come ho detto in altre occasioni non parlo di atenei di serie A e atenei di serie B, ma atenei specializzati nel settore A e atenei specializzati nel settore B.
Perseguire la realizzazione di questo disegno, se condiviso, sarà oggi ancora più arduo per le presenti difficoltà di bilancio. Purtroppo situazioni ben più favorevoli sono state sprecate in passato, ma c'è ormai poco tempo perché la decostruzione del sistema a colpi di emergenza divenga irreversibile. L'università dovrà sapersi ridisegnare velocemente e quindi imporre il suo disegno ad agenzie e ministeri forte della consapevolezza di essere risorsa vitale per il Paese e il suo sviluppo.

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